Un possibile schema nell’assetto attuale dell’UE
La crisi dei debiti sovrani che ha colpito l’Europa nel 2011 ha evidenziato la difficoltà dei governi nazionali di fronteggiare shock economici avversi nell’attuale assetto dell’unione monetaria, in cui i paesi hanno spazi di manovra limitati per condurre politiche espansive. Per alleviare questi vincoli si potrebbe introdurre un meccanismo di assicurazione tra paesi contro i rischi associati a shock asimmetrici. L’idea è presente da tempo nel dibattito sul processo di unificazione europea ed è stata rilanciata più di recente nei rapporti dei quattro (dicembre 2012) e dei cinque presidenti (giugno 2015). La creazione di un simile meccanismo si scontra con diversi timori. Da un lato, fornendo un trasferimento di risorse nel momento di crisi, potrebbe disincentivare la realizzazione di riforme nazionali che riducano le debolezze strutturali del paese in questione e, quindi, la probabilità stessa che si verifichi uno shock negativo. Dall’altro lato, la condivisone del rischio tra paesi con strutture produttive differenti potrebbe far sì che quelli più competitivi paghino i “costi” delle recessioni nelle economie strutturalmente più deboli. Il rischio di una redistribuzione persistente di risorse tra paesi compromette la realizzabilità politica del meccanismo assicurativo, poiché le economie più produttive potrebbero ritenere non conveniente parteciparvi.
In un recente studio mostriamo che questi timori sono probabilmente eccessivi e che è possibile concepire anche all’interno degli assetti attuali uno strumento di condivisione del rischio tra paesi che permetta loro di condurre politiche anticicliche, con effetti di stabilizzazione del ciclo economico, ma comportando una limitata redistribuzione di risorse fra stati.
Il meccanismo assicurativo che delineiamo simula l’esistenza di un sussidio di disoccupazione comune per l’area dell’euro. Prevediamo l’esistenza di un fondo sovranazionale che finanzi la spesa che i singoli paesi in recessione devono sostenere per pagare l’ipotetico sussidio europeo ai propri cittadini.
Per mitigare i timori associati sia a eventuali comportamenti opportunistici da parte dei governi e degli individui sia a una redistribuzione persistente di risorse, l’ipotetico sussidio potrebbe avere durata e generosità contenuta, escludendo la disoccupazione di lunga durata, ed essere attivato solo in caso di shock macroeconomici negativi di entità elevata. Sempre per evitare una redistribuzione permanente tra paesi si può fissare l’aliquota di finanziamento del fondo per ciascun paese in modo tale da eguagliare i trasferimenti ricevuti ai contributi versati durante un periodo predefinito (meccanismo bonus-malus). Nel caso in cui si accettasse un trasferimento di risorse tra paesi, l’aliquota potrebbe essere unica per tutta l’area e tale da mantenere il fondo in equilibrio nel lungo periodo. Nel rispetto del principio di sussidiarietà, le caratteristiche del sussidio europeo sarebbero delimitate dagli istituti assicurativi nazionali già esistenti, che rimarrebbero in vigore.
L’analisi e i risultati
Abbiamo simulato numerosi schemi, incrociando le diverse caratteristiche dell’ipotetico sussidio, l’ampiezza della platea dei potenziali beneficiari e le aliquote contributive nazionali, e ne abbiamo valutato la capacità di stabilizzazione macroeconomica (come riduzione del coefficiente di variazione del Pil) e l’associata redistribuzione tra paesi. In questi esercizi usiamo la Rilevazione europea delle forze di lavoro per il periodo 2002-2012 e ipotizziamo che lo schema simulato fosse operativo nei paesi dell’area dell’euro; calcoliamo i trasferimenti che avrebbe implicato dato il profilo storico della disoccupazione.
Lo schema che garantisce la maggiore stabilizzazione in assenza di redistribuzione avrebbe offerto, nel periodo 2002-2012, un livello di stabilizzazione del ciclo per l’area dell’euro pari a un settimo di quanto consentito dalla correzione per il ciclo del saldo di bilancio prevista dalle regole europee. Tale livello sarebbe raddoppiato qualora si permettesse una minima redistribuzione tra paesi, che comunque comporterebbe esborsi limitati (inferiore allo 0,1 per cento del proprio Pil per il maggior paese contribuente). I principali beneficiari sarebbero stati la Spagna e in misura minore il Portogallo (figura 1). L’Italia sarebbe stata tra i principali finanziatori, nonostante il recente marcato aumento del tasso di disoccupazione, perché si caratterizza per una maggiore incidenza del lavoro autonomo e della disoccupazione di lunga durata, non coperti da indennità di assicurazione. Anche Francia e Germania sarebbero stati contribuenti netti. La stima della direzione dei flussi finanziari è tuttavia molto sensibile al periodo di simulazione: considerando il periodo 2002-2008, Germania e Finlandia sarebbero stati, insieme alla Spagna, tra i beneficiari.
Lo schema di assicurazione europea proposto è soprattutto uno strumento di protezione rispetto a fasi negative del ciclo economico. Se ben congegnato, avrebbe anche il merito, tutt’altro che secondario in una fase di crescente scetticismo sul processo di integrazione europea, di rappresentare un meccanismo di solidarietà tra i paesi dell’UE visibile e tangibile per i cittadini.
Una versione più estesa dell’articolo è pubblicata su Menabò di Eticaeconomia
Fonte: elaborazioni degli autori su dati della Rilevazione europea sulle forze di lavoro
Nota: i flussi finanziari sono stati calcolati simulando un sussidio europeo di disoccupazione che prevede un tasso di sostituzione pari al 50% della retribuzione, copre tutte le cessazioni dei rapporti di lavoro e ha durata di otto mesi. Lo schema si attiva in presenza di una riduzione dell’occupazione maggiore o uguale al 20% della sua deviazione standard in uno dei paesi considerati. L’aliquota di finanziamento del fondo è fissata per ciascun paese in modo tale da eguagliare i trasferimenti ricevuti ai contributi versati durante un periodo predefinito; tuttavia, viene fissata una soglia massima dell’aliquota. Una volta raggiunta tale soglia per un paese, i costi di finanziamento dello schema sono ripartiti sugli altri paesi permettendo, seppure in misura contenuta, una qualche redistribuzione di risorse. Infine, i flussi sono stati calcolati considerando gli attuali tassi di presa in carico dei beneficiari degli istituti nazionali esistenti.
* Banca d’Italia, Dipartimento di economia e statistica. Le opinioni qui espresse sono personali e in nessun modo possono essere attribuite alla Banca d’Italia.
Andrea Brandolini
È economista nel Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia. Si occupa di analisi del mercato del lavoro, dei consumi delle famiglie, della struttura produttiva italiana. La sua attività di ricerca si concentra sulla distribuzione del reddito e della ricchezza, la disuguaglianza e la povertà, la misurazione del benessere. Ha fatto a lungo parte della Commissione d’indagine sull’esclusione sociale e ha presieduto la Commissione dell’Istat per la revisione del metodo di stima della povertà assoluta. È stato membro dell’Executive Board del Luxembourg Income Study. È stato presidente dell’International Association for Research in Income and Wealth e ha fatto parte del consiglio della Society for the Study of Economic Inequality. È associate editor del Journal of Economic Inequality ed è membro dei comitato editoriali della Review of Income and Wealth, dell’Italian Economic Journal e di Politica economica–Journal of Economic Policy. È tra i fondatori del sito di informazione demografica www.neodemos.it.
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Francesca Carta
Francesca Carta lavora nella Divisione Struttura economica e mercato del lavoro della Banca d’Italia dal 2013. Dopo la laurea in Discipline Economiche e Sociali presso l’Università Bocconi, ha conseguito il Ph.D. alla Toulouse School of Economics nel 2014. È membro del Dondena Gender Initiative dell’Università Bocconi. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’economia pubblica e del lavoro, la teoria dei contratti e l’economia di genere.
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