A Palermo Orlando sospende il dl Salvini in nome dei diritti costituzionali, con lui l’Anci. Il Pd ricorre in Consulta sulla manovra: verdetto il 9/1
Dai sindaci al Parlamento in nome dei diritti costituzionali: dritto fino alla Consulta. In questi primissimi giorni del nuovo anno, prende forma una sorta di reazione alle politiche del governo gialloverde. In maniera variegata, magari un po’ disordinata ma qualcosa si sta muovendo pian piano nel tessuto sociale e politico soprattutto di area centrosinistra ma non solo. E come spesso è accaduto negli ultimi anni (si ricordino i ricorsi sulle leggi elettorali), si invoca la Corte Costituzionale: in forma diretta, nel caso del ricorso presentato dal gruppo parlamentare del Pd al Senato per la compressione del dibattito parlamentare sulla manovra economica; oppure in forma meno diretta, come per la sollevazione dei sindaci contro il decreto sicurezza voluto fortemente da Matteo Salvini e approvato dalla maggioranza gialloverde lo scorso autunno.
Iniziamo da quest’ultimo dossier. Ad aprire le danze ci pensa il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che spesso agisce di sua iniziativa, senza coordinamenti con altre reti o altri colleghi. Lo fa anche oggi e la sua mossa di “sospendere” l’applicazione del decreto sicurezza ha l’effetto di togliere il tappo alle discussioni interne già vive da mesi all’Anci, oltre che quello di far infuriare Salvini.
Da tempo il presidente Antonio Decaro ha raccolto il malessere dei sindaci contro il decreto sicurezza che aggiunge tutta una serie di problemi pratici ai primi cittadini. Tanto che le lamentele sono arrivate non solo dai sindaci di centrosinistra, ma anche dall’assessore al welfare di Roma Laura Baldassarre della giunta pentastellata di Virginia Raggi, nonché da amministratori di Forza Italia, come Silvana Romano, assessora a Gorizia di una giunta di centrodestra. Sia Baldassarre che Romano hanno infatti firmato un documento della commissione Immigrazione dell’Anci critico del dl sicurezza, insieme ad altri assessori, sindaci e consiglieri di tutta Italia. La prima si è fatta pure promotrice di una apposita mozione approvata nel consiglio capitolino, simile a quella voluta da Virginio Merola (Pd) a Bologna.
Ecco, tutto questo oggi è esploso. Con Orlando si sono schierati sindaci di diverse provenienze politiche della sinistra e del centrosinistra, renziani e anti-renziani, da Luigi De Magistris di Napoli a Giuseppe Falcomatà di Reggio Calabria, Dario Nardella di Firenze, Alessio Pascucci di Cerveteri in prima fila alla manifestazione di Riace contro l’arresto di Mimmo Lucano. E naturalmente c’è anche lui, proprio Lucano, che ora ha ancora divieto di dimora nel suo paese in Calabria: “Sono d’accordo con Orlando. Bisogna disobbedire perché è un decreto contro i diritti umani e la dignità degli esseri umani. Non è una novità: io l’ho già fatto e mi trovo in queste condizioni…”.
Spiega Nardella, al telefono con Huffpost: “A Firenze stiamo provando a sterilizzare le conseguenze del decreto sicurezza. Prima di Natale abbiamo fatto partire un tavolo, che si riunirà dopo la Befana, con il mondo del volontariato laico e cattolico, dalla Curia alla Caritas, ai sindacati, le istituzioni locali, il mondo del lavoro. L’obiettivo è creare un circuito di accoglienza parallelo per chi sarà espulso dai centri di accoglienza per effetto del decreto Salvini: potrebbero essere 900 su un totale di 1800. Il punto è che vengono espulsi dai centri di accoglienza, non dal paese: non sanno dove andare, rischiano di cadere preda della criminalità organizzata oppure rischiano la vita. Per questo tentiamo di individuare un circuito parallelo. Certo, non so quanto potrà durare. Per questo ben venga una mobilitazione nazionale dei sindaci: il decreto ci ha creato problemi pratici da gestire, va cancellato e riscritto”.
Il presidente dell’Anci Decaro chiede un tavolo di discussione al ministero degli Interni: “È evidente, a questo punto, l’esigenza di istituire un tavolo di confronto in sede ministeriale per definire le modalità di attuazione e i necessari correttivi a una norma che così com’è non tutela i diritti delle persone. Noi sindaci l’avevamo detto prima che il decreto fosse convertito in legge attraverso la posizione della commissione immigrazione dell’Anci che all’unanimità, indipendentemente dall’appartenenza politica dei singoli componenti, si era espressa negativamente sul provvedimento, ritenendo che i diritti umani non siano negoziabili”.
Appunto: diritti non negoziabili, garantiti dalla Costituzione. Il decreto sicurezza è “un provvedimento disumano perché, eliminando la protezione umanitaria, toglie ogni residuo di comprensione nei confronti del dramma dei migranti – spiega Orlando – ma anche criminogeno perché trasforma in ‘illegale’ la posizione ‘legale’ di chi ha regolarmente un permesso di soggiorno. Un permesso che viene ottenuto per ragioni umanitarie e che alla scadenza non può essere riconfermato perché non c’é più la protezione umanitaria. Un permesso – continua Orlando – che viene dato per effetto di un contratto di lavoro e che viene meno appena scade, senza i sei mesi necessari per potere trovare nuovo lavoro”.
I sindaci si stanno muovendo ora, ognuno di loro sta cercando una strada per limitare i danni del decreto sicurezza. Ma è chiaro che questa storia ha tutte le potenzialità per finire davanti a un giudice, chissà se anche costituzionale. Basti vedere la reazione di Salvini ai microfoni di Radio1: “Saranno gli elettori a giudicare l’operato dei sindaci”, “non sarò io a rimuoverli”, ma la protesta è “un fatto gravissimo. Invece di occuparsi dei problemi delle loro città, questi sindaci pensano agli immigrati. Ne risponderanno personalmente, legalmente, civilmente, perché è una legge dello Stato che mette ordine e mette regole. Il decreto sicurezza non dà diritto di residenza ai clandestini: se i sindaci vorranno concedere dei documenti a degli immigrati irregolari ne risponderanno personalmente”.
Intanto alla Consulta si rivolge direttamente l’altro pezzo di protesta che comincia a muoversi contro il governo gialloverde, che pure continua a godere del favore dei sondaggi. Ed eccoci alla storia del ricorso del Pd in Corte Costituzionale.
Il 9 gennaio i 15 giudici della Suprema Corte dovranno decidere sull’ammissibilità del ricorso presentato dal gruppo parlamentare del Pd al Senato per lesione delle prerogative del Parlamento. Contestano il fatto che la manovra economica sia stata presentata in Parlamento fuori tempo massimo per garantire un minimo di esame e discussione prima del voto. Sono 37 le firme in calce: cifra non casuale, di poco superiore a un decimo dei componenti di Palazzo Madama, la quota che può chiedere la mozione di sfiducia o che un provvedimento sia spostato da una commissione all’altra.
Ora: può sembrare la semplice iniziativa di un gruppo parlamentare di minoranza, iniziativa sostenuta naturalmente anche dal gruppo Dem della Camera. Ma dalla sera del 31 gennaio i proponenti coltivano qualche speranza in più di riuscire nell’intento. Hanno presentato il ricorso prima della firma del presidente Sergio Mattarella al testo della manovra, proprio per sottolineare i ritardi del governo non certo quelli del presidente. E ora nel discorso di auguri per il nuovo anno da parte del capo dello Stato ritrovano quei riferimenti che potrebbero aiutare la causa del ricorso.
Mattarella infatti non ha mancato di sottolineare il dato oggettivo che solo la sera prima ha potuto firmare “la legge di bilancio nei termini utili a evitare l’esercizio provvisorio, pur se approvata in via definitiva dal Parlamento soltanto da poche ore”. Insomma, i Dem ci leggono una critica alla compressione dei tempi della discussione parlamentare sulla manovra e dunque una possibile spinta affinché la Corte Costituzionale dichiari il ricorso ammissibile. Se questo sarà il verdetto, poi ci sarà la decisione di merito che però non invaliderà la manovra, potrebbe solo piantare paletti per il futuro, affinché non accada più. Ma chissà che ne nasca uno scontro tra il governo e la Corte Costituzionale, è comunque presto per prevedere alcunché.
Di certo, forse, qualcosa si muove contro uno dei governi più popolari degli ultimi anni.
Angela MauroInviata speciale – Huffpost Italia
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