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Roma moderna. I Fori e la città. Adriano La Regina. In ricordo di Italo Insolera.
Dopo anni di silenzio e disinteresse politico sulla
questione urbanistica dei Fori imperiali, ossia su
disegno futuro e l’immagine della città di Roma, il
Sindaco Ignazio Marino ha proposto il tema di
un uso diverso di quell’area, più rispettoso dei pr
incipali monumenti antichi, con forti limitazioni
del traffico automobilistico sulla strada che attra
versa l’area monumentale. Il Sindaco ha inoltre
promosso l’istituzione di una Commissione di espert
i designati dal Ministero dei beni culturali e
dalla Città di Roma con il compito di elaborare uno
studio per un piano strategico di sistemazione e
sviluppo dell’area archeologica centrale di Roma. L
a Commissione, presieduta dal Prof. Giuliano
Volpe e composta di studiosi stranieri, il Prof. Mi
chel Gras, l’architetta Jane Thompson, e italiani,
la Prof. Laura Ricci, la Prof. Tiziana Ferrante, il
Prof. Eugenio La Rocca, il Prof. Claudio Strinati
e
da me stesso, con la partecipazione del Prof. Claudio Parisi Presicce, della Dr. Federica Galloni,
della Dr. Mariarosaria Barbera e dell’Arch. Agostin
o Burreca, è stata istituita il 1. agosto 2014 ed
ha terminato i lavori il successivo 30 dicembre. La
relazione finale della Commissione, resa
pubblica, propone una serie di interventi intesi a
migliorare le condizioni della zona monumentale
antica; alcuni sono fattibili in tempi brevi e con
poca spesa, altri sono di natura più complessa e
collegati con la realizzazione di opere pubbliche,
in particolare della linea C della metropolitana; t
ra
questi il grande centro di servizio previsto fin da
l 1988 sotto il livello stradale della via dei Fori
imperiali tra il Colosseo e il Largo Corrado Ricci.
L’attuazione dell’intero programma darebbe di
certo un assetto più decoroso alla parte centrale d
ella città, sollevandola dalle condizioni di
decadimento e migliorando lo stato di molti monumen
ti. Tuttavia, nell’ampio panorama dei
problemi esaminati la sistemazione dei Fori imperia
li, obiettivo per il quale era scaturita la necessi
tà
di istituire la Commissione stessa, non ha ricevuto
un’attenzione pari alla sua importanza. Non
esiterei a definirne la trattazione del tutto delud
ente: non vi sono stati approfondimenti sugli aspet
ti
già studiati né proposte innovative di alcun genere
, ancorché dichiarate auspicabili. La posizione
assunta, non del tutto unanimemente ma quasi, è sta
ta quella di “non abbandonare la prospettiva di
una soluzione innovativa che porti alla sostituzion
e dell’attuale via, mantenendone il tracciato e la
funzione, e alla ricomposizione del contesto archeo
logico”. A questo, cioè alla ricomposizione del
contesto archeologico, si potrebbe arrivare secondo
la Commissione con un viadotto carrabile e
pedonale che consentirebbe di riunificare le parti
dei diversi Fori oggi frammentarie e rese
incomprensibili dalla presenza della strada; al tem
po stesso il viadotto consentirebbe “la
conservazione del ‘segno’ costituito dall’asse dell
a via dei fori imperiali”.
In questo modo non si è neanche tentato di aprire l
a strada a soluzioni nuove, non osando rinunciare
né alla riunificazione dei complessi monumentali or
a disarticolati, né al mantenimento della via dei
Fori imperiali, concepita come un “segno” storico d
a perpetuare tramite un suo simulacro con la
carreggiata sostenuta da esili pilastri. La scelta
di conservare il “segno” della strada senza concret
e
motivazioni di ordine urbanistico appare legata a f
orme di malinteso storicismo. La proposta di un
ponte, o viadotto, che possa scavalcare i Fori impe
riali completamente scavati per mantenere il
collegamento stradale tra piazza Venezia e il Colos
seo era stata formulata da Pierluigi Romeo nel
1979, e fu ripresa con il progetto di Massimiliano
Fuksas nel 2004, e poi nuovamente in forma più
elaborata da Raffaele Panella nel 2013 [fig. 1]. Qu
esta soluzione costituisce un indubbio progresso
rispetto allo stato delle cose perché consente il c
ompletamento delle esplorazioni e la riunificazione
delle aree scavate; la costruzione del viadotto sar
ebbe però del tutto inutile, come vedremo. Inoltre,
si manterrebbe così la separazione tra il livello d
’uso attuale, cittadino, e quello archeologico
destinato al turismo. Esistono anche altri modi più
semplici e meno costosi per ottenere gli stessi
risultati.
Dopo le demolizioni dell’intero quartiere che aveva
occupato l’area dei Fori imperiali [fig. 2],
avviate nel 1929 secondo i progetti di Corrado Ricc
i ad est della via Alessandrina ed estese tra il
1931 e il 1933 a tutti i restanti spazi, si giunse
in pochi anni a una definitiva sistemazione con
soluzioni provvisorie ma opportune, perché serviron
o a sventare programmi di edificazione in parte
già avviati e per fortuna subito sospesi. Il vuoto
creato tra le rovine suscitava aspirazioni
edificatorie e vanità architettoniche: persino Le C
orbusier si era proposto con il progetto di una
costruzione tra la Basilica di Massenzio e il Colos
seo. È evidente che vi fosse fin da allora, tra chi
aveva promosso, attuato e seguito il programma di a
bbattimento degli edifici e di sfondamento della
Velia, la previsione o almeno l’aspirazione di un a
mpliamento degli scavi nei vasti spazi rimasti
liberi a ridosso della nuova via dell’Impero e sist
emati con aiuole. Vi sono molti indizi di questa
previsione; ne ricordo solo uno, evidentissimo: il
muraglione di sostegno della via Alessandrina
costruito dopo le demolizioni di Corrado Ricci è pr
edisposto con una serie di arcate che dopo un
successivo scavo del Foro di Traiano avrebbero cons
entito di collegare l’area della piazza con
l’emiciclo orientale [fig. 3]. L’intento fu tuttavi
a vanificato prima dal prevalere delle esigenze di
rappresentazione retorica del regime, che imponevan
o una decorosa e immediata ricomposizione
degli spazi liberati dalle costruzioni, e poi per i
l sopravvenire della guerra. Quello stato di cose,
tra
Piazza Venezia e il Colosseo, si mantenne quindi im
mutato e indiscusso per circa quarant’anni. Se
però l’assetto di quell’area non aveva subito mutam
enti, la città si era trasformata radicalmente:
l’espansione edilizia nel suburbio, avvenuta nelle
forme e governata nei modi descritti da Italo
Insolera nella sua storia urbanistica di
Roma moderna
(1962), aveva modificato l’equilibrio tra il
centro urbano e le periferie; la legge urbanistica
del 1967 (la cosiddetta ‘legge ponte’), aveva
tutelato i quartieri del centro storico ma, influen
do sui valori immobiliari, ne aveva accentuato il
distacco da quelli periferici; il traffico automobi
listico, divenuto insostenibile, ostacolava l’agibi
lità
degli spazi pubblici e la percezione degli aspetti
storico-artistici del paesaggio urbano e, soprattut
to,
creava un inquinamento atmosferico assai nocivo per
la conservazione dei monumenti antichi.
Credo che sia utile ricordare le ragioni che agli i
nizi degli anni Ottanta condussero alla proposta di
un assetto diverso dei Fori imperiali. Se alcuni de
i motivi che allora imponevano urgenti
cambiamenti sono superati, altri persistono e nel f
rattempo ne sono sorti di nuovi ancora. Tutto
scaturì da una pressante esigenza di conservazione
del patrimonio esistente: infatti, la maggiore
concentrazione di monumenti marmorei di Roma, nell’
area archeologica centrale, era esposta al
danneggiamento e al rapido decadimento derivanti da
ll’elevato grado di inquinamento atmosferico..
La previsione, sensata e in parte gradualmente attu
ata, di ridurre e poi di eliminare il transito dei
veicoli a motore dalla via dei Fori imperiali, priv
andola così della sua primaria funzione urbana,
metteva seriamente in dubbio la necessità di manten
ere la sistemazione degli anni Trenta. Si apriva
in tal modo per la prima volta la prospettiva concr
eta dell’esplorazione e del recupero quasi
integrale delle grandi piazze antiche in un comples
so unitario che dal Foro romano e dal Palatino si
potesse estendere fino al Circo Massimo, al Colosse
o e ai Mercati di Traiano. Il programma di uno
scavo che avrebbe dovuto eliminare la via dei Fori
imperiali fu presentato dalla Soprintendenza con
una mostra tenuta nella Curia dei Senato al Foro ro
mano nel 1981 [fig. 4]. Prese poi forma il
progetto urbanistico predisposto su incarico della
Soprintendenza da Leonardo Benevolo con
Vittorio Gregotti, Augusto Cagnardi, Ferdinando Cas
tagnoli, Ippolito Pizzetti, Claudio Podestà,
Guglielmo Zambrini; il lavoro, che resta un’elabora
zione concettuale fondamentale per la questione
dei Fori imperiali, è stato pubblicato nel 1985:
Roma. Studio per la sistemazione dell’area
archeologica centrale
(1985) [figg. 5-6]. Un secondo livello di progetta
zione, ancora a cura di
Leonardo Benevolo e Francesco Scoppola con Vittorio
Gregotti, Augusto Cagnardi, Antonio
Cederna, Vezio De Lucia, Massimo De Vico Fallani, S
ergio Giovanale, Carlo Pavolini, Claudio
Podestà, Lucio Quaglia, Alessandro Quarra, comparve
nel 1988:
Roma. L’area archeologica
centrale e la città moderna.
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La discussione che scaturì da queste proposte fin d
al 1981 fu però viziata da contrapposizioni
politiche e ideali che spostarono il dibattito dagl
i aspetti programmatici di conservazione
monumentale e di rinnovamento urbanistico alle valu
tazioni di ordine storico sulle trasformazioni
subite da Roma durante il regime fascista. In realt
à vi erano solo la necessità e, molto
pragmaticamente, l’opportunità di far tesoro dei co
sti sociali già sostenuti. L’abbattimento di un
intero comparto urbano densamente abitato e il tras
ferimento dei residenti, appartenenti ai ceti
sociali meno abbienti, in quartieri di periferia ap
posta edificati comportarono costi elevatissimi.
Oggi un intervento così radicale in una parte stori
ca della città, come quello attuato durante il
Fascismo, compiutamente descritto da Antonio Cedern
a nel suo
M
ussolini urbanista
(1979), non
sarebbe ammissibile sotto il profilo normativo, eti
co e culturale, e non sarebbe comunque
sostenibile per l’impegno economico necessario; tut
tavia la trasformazione è avvenuta e di là da
ogni giudizio non vi è che da prenderne atto e cons
iderare lo stato delle cose in previsione della
migliore sistemazione dei monumenti antichi e dello
sviluppo della città.
La questione del decadimento dei marmi romani aggre
diti dall’inquinamento si pose nel 1978
quando, a seguito di alcuni distacchi di superfici
scolpite dalla colonna di Marco Aurelio, la
Soprintendenza eseguì accertamenti su tutti i monum
enti marmorei della città [fig. 7]. Presento qui
alcune delle immagini che mostrai il 21 aprile del
1979 in una conferenza tenuta in Campidoglio su
invito di Giulio Carlo Argan, allora sindaco di Rom
a [fig. 8]. Con quelle ricognizioni si ebbe il
modo di costatare, per la prima volta, la gravità d
ei danni arrecati alle superfici marmoree dalle
emissioni degli autoveicoli, specialmente di quelli
a combustione di gasolio, e dalle polveri prodotte
dall’usura delle ruote di gomma. I monumenti non av
evano ricevuto manutenzioni da molto tempo,
e quindi recavano i segni di un lungo decadimento.
I danni più insidiosi, però, perché attivamente
progressivi erano dovuti alla grande accelerazione
provocata dalle nuove forme d’inquinamento
atmosferico comparse nel corso del Novecento [fig.
9]. Per la Colonna Traiana abbiamo i
preziosissimi calchi del Museo della Civiltà Romana
, realizzati nel 1862 per volontà di Napoleone
III, i quali documentano lo stato in cui si trovava
il monumento a quell’epoca; l’esecuzione dei
calchi aveva infatti comportato un’accurata ripulit
ura delle superfici. L’inquinamento dovuto alle
emissioni degli autoveicoli induceva sulle superfic
i dei monumenti un processo chimico che
trasformava il marmo in gesso e lo esponeva quindi
all’erosione del vento e al dilavamento della
pioggia [fig. 10]. La penetrazione degli agenti inq
uinanti in profondità provocava inoltre la
formazione di croste che si distaccavano facendo pe
rdere ampie porzioni lapidee [fig. 11]. La
situazione era aggravata dalle emissioni degli impi
anti di riscaldamento, ancora in parte a carbone
ma per lo più a gasolio; gli uni e gli altri influi
vano sull’inquinamento atmosferico generale della
città in maniera massiccia per la diffusione su tut
ta la grande cintura intensamente edificata della
periferia urbana [fig. 12]. Fu quindi possibile app
urare che l’inquinamento stava provocando danni
non solo ai marmi con figurazioni scolpite, come le
grandi colonne istoriate di Traiano e di Marco
Aurelio [fig. 13], e gli archi di Tito [fig. 14], S
ettimio Severo [figg. 15-16], Costantino [figg. 17-
18], ma anche alla ornamentazione architettonica e
persino alle superfici non decorate dei
monumenti [figg. 19-20]. Di minore entità, ma non i
rrilevante, si presentavano le alterazioni subite
dalle superfici di travertino in monumenti come il
Colosseo e il teatro di Marcello. Il danno
maggiore consisteva naturalmente nelle perdite irri
mediabili arrecate a quei rilievi storici e a quei
complessi scultorei che rappresentano le principal
i manifestazioni dell’arte ufficiale romana. Il
decadimento era però del tutto generalizzato e si e
stendeva ad altri materiali lapidei come il tufo, e
richiamo il caso del Tabularium, e metallici, e ric
ordo la statua equestre di Marco Aurelio. La
questione della protezione di questo patrimonio fu
sollevata nel Consiglio Nazionale dei Beni
Culturali nel dicembre del 1978, e suscitò preoccup
azione presso l’opinione pubblica
internazionale. Per riferire su questo stato di cos
e fu nominata una Commissione ministeriale per le
opere d’arte all’aperto, presieduta da Cesare Gnudi
, illustre storico dell’arte e Soprintendente ai
beni artistici di Bologna. La Commissione si espres
se con una relazione finale nell’aprile del 1980,
e gli atti furono pubblicati dal Ministero nel 1981
. Nel confermare il grave stato dei monumenti
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romani, la Commissione sollecitò per la loro conser
vazione provvedimenti urgenti, straordinari, che
in effetti furono adottati in sede legislativa nel
1981, ma raccomandò anche misure di pianificazione
territoriale idonee a ridurre le fonti di inquiname
nto.
Per la riduzione dell’inquinamento dell’atmosfera u
rbana qualche beneficio si ebbe dopo molto
tempo, soprattutto in conseguenza dello sviluppo te
cnologico degli impianti di riscaldamento e a
seguito della sostituzione del gasolio con il metan
o. Gli interventi di conservazione eseguiti negli
anni Ottanta sono stati temporaneamente risolutivi
nel frenare la progressione dei danni, ma non
potevano essere di durata illimitata. Ne era stata
prevista l’efficacia per almeno vent’anni,
dopodiché si sarebbero dovute ripetere le operazion
i di manutenzione: sono ora passati trent’anni e
non si sono ancora compiute nuove ripuliture dei ma
rmi, con il rischio che riprendano i fenomeni di
disgregazione della materia. Infatti, se l’entità d
ei danni è ora più contenuta, essa non è per nulla
eliminata. I monumenti dell’area archeologica centr
ale, liberati dall’aggressione diretta delle
emissioni dei veicoli a motore, soffrono ancora per
l’inquinamento generale dell’area urbana;
inoltre, uno dei capisaldi per la conoscenza dell’a
rte romana di età antonina, la colonna di Marco
Aurelio, è tuttora molto esposto agli agenti inquin
anti. Il peggioramento del suo stato di
conservazione è evidente per il progressivo annerim
ento delle superfici. Periodici controlli, seguiti
da accurate manutenzioni, sarebbero comunque necess
ari anche sugli altri monumenti.
Il decadimento dei monumenti romani, architetture r
icoperte di raffigurazioni scolpite nel marmo,
costituisce ancora oggi il più grave problema conse
rvativo per il patrimonio artistico italiano. Non
esistono altri complessi di opere d’arte così impor
tanti e di tali dimensioni esposti all’aperto e per
loro natura non ricoverabili mediante ripari protet
tivi. La questione è stata però completamente
rimossa e non se ne parla più. Le informazioni date
dalla stampa lo scorso 3 marzo sulle ricerche
compiute dall’Istituto superiore per la conservazio
ne e il restauro sull’attuale incidenza
dell’inquinamento a Roma sono troppo sintetiche e q
uindi fuorvianti. La perdita delle superfici
misurata tra i 5,2 e i 5,9 micron riguarda la progr
essione annua del danno arrecato alla materia
marmorea sana esposta all’aperto, e non a superfici
scolpite già molto alterate, interessate per di pi
ù
da profonde lesioni, com’è nel caso dei principali
monumenti marmorei antichi di Roma [fig. 21].
In tali condizioni gli effetti dell’inquinamento no
n sono lineari ma discontinui, e provocano estesi e
profondi distacchi di particolari scultorei rilevan
ti, talvolta di intere figure. Questo stato di cose
non
trova particolare ascolto né suscita preoccupazione
. L’attenzione è ora rivolta in maniera quasi
esclusiva alla capacità dei beni culturali di rende
re un utile economico, e gli interessi della
produttività connessi con il turismo prevalgono reg
olarmente su quelli della cultura e della tutela
del patrimonio storico e artistico della nazione, c
he sono invece compresi tra i principi fondamentali
della costituzione italiana. I problemi della prote
zione e della conservazione di questo patrimonio
interessano solo se vi è del clamore a seguito di g
uasti, anche secondari, com’è avvenuto nel caso
dei crolli di murature (per lo più moderne) di Pomp
ei. Il graduale e progressivo disfacimento delle
più preziose testimonianze dell’arte romana sembra
invece essere un destino ineluttabile non
meritevole di attenzione; eppure le operazioni di c
onservazione non hanno costi esorbitanti,
richiedono soprattutto la cura manuale di operatori
competenti ed esperti.
Il primo intervento inteso alla riduzione delle fon
ti di inquinamento, rivelatosi efficace sulla
dimensione locale, fu il divieto di transito automo
bilistico sulla strada che attraversava il Foro all
e
pendici del Campidoglio [fig. 22]: la via del Foro
romano, talvolta ricordata come via della
Consolazione. La limitazione, avvenuta nel 1979, fa
vorì il progetto di rimozione della strada per
unificare le due parti dell’area monumentale e per
restaurare il Clivo capitolino [fig. 23]. I lavori
iniziarono nel 1980 e si protrassero per alcuni ann
i con scavi e restauri, e ripristinarono il percors
o
antico tra il Campidoglio e la piazza del Colosseo
[fig. 24]. Fu allora possibile consentire il libero
attraversamento del Foro, che era stato per molti a
nni, con il Palatino, un parco archeologico
frequentato soprattutto da turisti. Da quel momento
l’area del Foro divenne nuovamente una parte
della città che si poteva semplicemente attraversar
e, o in cui si poteva passeggiare per osservare i
monumenti o sostare in contemplazione del paesaggio
. L’eliminazione della via del Foro romano fu
la prima importante trasformazione dopo l’assetto d
egli anni Trenta, l’unica che si sia risolta nella
ricomposizione di un grande contesto di interesse s
torico e nel ripristino di percorsi pedonali
alternativi alle strade ingorgate di veicoli. Il pr
ogetto di riunificare l’area archeologica e di
restaurare il Clivo capitolino, contrastato da più
parti, era stato assecondato dal Sindaco di Roma
Luigi Petroselli, il quale fece smantellare la stra
da rendendo così possibili le attività di scavo e d
i
restauro. Petroselli aveva compreso che Roma poteva
a stento competere con le più grandi capitali
sul versante della produzione culturale, e che mome
nti di effimera vitalità nel cinema, nelle arti
figurative, nell’architettura, avevano posto la cit
tà nella condizione di occupare talvolta una
posizione elevata, ma mai di assumere un ruolo di p
rimo piano a livello mondiale. Egli aveva ben
visto che il vero primato di Roma, mai sufficientem
ente sostenuto con lungimiranza politica, era
dovuto alle sue testimonianze storiche, che l’indis
cussa e incomparabile grandezza di questa città
consisteva nei suoi caratteri archeologici, da semp
re oggetto d’interesse universale e fonte
inesauribile di accrescimento e di rinnovamento urb
ano.
L’odierno affollamento del Foro non consente di osp
itare un numero maggiore di visitatori senza
modificare i criteri di ammissione e senza regolarn
e i flussi, ma queste modifiche sono possibili, e
ancor più lo saranno con l’ampliamento degli spazi.
L’abolizione del libero ingresso al Foro
romano, decisa nel 2005, è stata un’umiliante sconf
itta culturale che per di più non ha prodotto
benefici economici. Con il biglietto unico per il C
olosseo e il Palatino già si raccoglieva l’intera
massa di turisti interessati alla visita dell’area
archeologica. L’aumento degli incassi è dovuto solo
all’incremento delle presenze turistiche a Roma: le
variazioni sono infatti proporzionali a quelle dei
flussi turistici nella città.
L’incremento del turismo ha indirizzato sull’area a
rcheologica di Roma milioni di visitatori. Per il
Colosseo e il Foro romano, ove si sono superati i l
imiti di sostenibilità, sono necessari maggiori
spazi per ospitare il pubblico. Nel Colosseo il com
pletamento della pavimentazione lignea è l’unico
provvedimento che può consentire di fare fronte all
e nuove esigenze di spazio per la visita e può
inoltre permettere una migliore percezione dei cara
tteri monumentali. La riproduzione dei
meccanismi predisposti in antico per il sollevament
o di bestie e materiali e per l’allestimento degli
spettacoli renderebbe d’altra parte comprensibile i
l funzionamento della struttura e attirerebbe la
curiosità del pubblico. L’intervento sarebbe comple
sso e oneroso ma possibile, perché sono stati
compiuti studi, sperimentazioni e parziali realizza
zioni. Con una regolare apertura notturna si
potrebbero inoltre restituire ai visitatori le sens
azioni della spettrale monumentalità al chiarore
lunare o nei lividi colori aurorali, così tanto amb
ite e provate quando il Colosseo era facilmente
accessibile a qualunque ora del giorno e della nott
e. Occasionali e contenute manifestazioni
culturali sarebbero compatibili, come già si è sper
imentato più di una volta, ma il Colosseo non
potrebbe ospitare spettacoli di massa: occorrerebbe
infatti intervenire in maniera molto pesante
sulla cavea. Il triste esempio di Pompei, ove il te
atro maggiore è stato rovinato per essere adibito
alla rappresentazione di spettacoli, dovrebbe mette
re in guardia sui rischi di una ristrutturazione.
Inoltre, il Colosseo ha già il suo grande pubblico
del turismo internazionale.
Nel Foro romano i visitatori devono poter percorrer
e i luoghi aperti già in antico, ossia la piazza, l
e
strade e, laddove esistono i requisiti di agibilità
, anche gli interni degli edifici. Gli spazi sono
tuttavia insufficienti e il grande affollamento ren
de ormai la visita faticosa, distoglie dalla
contemplazione e lede l’aura del paesaggio di rovin
e. Il Palatino può accogliere altro pubblico per
la visita del palazzo dei Cesari, e dei grandiosi e
difici lungo le sue pendici, ma contiene anche
monumenti delicati con pitture parietali che non po
ssono sostenere una maggiore frequentazione:
l’Aula Isiaca, la Casa dei Grifi, la Casa di August
o e la Casa di Livia, e così anche le opere d’arte
esposte nel Museo Palatino. Gli spazi naturalmente
destinati alla visita del grande pubblico sono
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quelli pianeggianti, delimitati dalle alture, ove s
ono sorte le grandi piazze del Foro romano e dei
cinque Fori imperiali. La sistemazione e l’apertura
dei Fori imperiali ai visitatori che ora si
affollano nel Foro romano offrirebbe un grande bene
ficio alla domanda turistica, e costituirebbe al
tempo stesso un enorme arricchimento per l’immagine
della città.
Come si riuscì ad aprire liberamente il Foro romano
istituendo il biglietto d’ingresso al piano terra
del Colosseo, fino allora gratuito, così è possibil
e fin d’ora una manovra del tutto analoga
aumentando il prezzo di accesso al Colosseo-Palatin
o e consentendo la piena gratuità per il Foro
romano e, in prospettiva, per i Fori imperiali. Il
costo del biglietto per il Colosseo e Palatino è og
gi
molto basso rispetto agli standard internazionali,
e può essere aumentato fino a 35 euro. Anche con
una riduzione temporanea degli ingressi di circa il
20 per cento in ragione del prezzo più alto, si
avrebbe un incremento degli introiti del 140 per ce
nto. Si risolverebbero così i problemi
dell’affollamento dilatando gli spazi aperti al pub
blico, che devono peraltro riassumere la funzione
di punto nodale per il transito pedonale nel rappor
to con i quartieri cittadini gravitanti sull’area
archeologica. La creazione di uno spazio unitario l
iberamente frequentabile e transitabile – si
ricordi che il Foro di Nerva era detto anche
f
orum transitorium
o
f
orum
pervium
– risolverebbe la
questione, tutta erariale, della gestione di monume
nti amministrati dallo Stato e dal Comune.
D’altra parte è bene ricordare che se la tradiziona
le competenza amministrativa e scientifica del
Comune di Roma contribuisce in maniera irrinunciabi
le alla cura del patrimonio storico e artistico
della città, il complesso monumentale dei Fori impe
riali appartiene in gran parte al Demanio dello
Stato. L’unificazione funzionale (libera apertura a
l pubblico) e non di gestione (custodia e cura dei
monumenti) dello spazio archeologico del Foro roman
o e dei Fori imperiali può esser attuata
immediatamente senza alterare l’attuale ripartizion
e dei compiti rispettivamente esercitati dallo
Stato e dal Comune di Roma. La pretestuosa rapprese
ntazione di difficoltà della gestione ha il solo
ed evidente fine di giustificare la creazione di st
rutture che sottraggano la cura del patrimonio
monumentale alla competenza delle naturali sedi ist
ituzionali. La sventurata, recente, esperienza dei
commissariamenti di soprintendenze dovrebbe bastare
ad allontanare lo spettro di operazioni
concepite per finalità non coerenti con l’interesse
pubblico. Queste comporterebbero peraltro la
distruzione di consolidate strutture, statali e com
unali, di elevata potenzialità scientifica, con ogn
i
prevedibile ripercussione negativa sulla cura del p
atrimonio archeologico.
La ripresa degli scavi, nel 1997, negli spazi a rid
osso della via dei Fori imperiali, adibiti a giardi
ni e
a parcheggi, ha riportato alla luce ampie porzioni
del Foro di Traiano, del Foro di Cesare, del Foro
Transitorio e del Foro della Pace, e in misura mino
re del Foro di Augusto. L’incremento delle
conoscenze è stato enorme per gli aspetti topografi
ci, storicoartistici e per la ricostruzione delle
vicende edilizie della città in età tardoantica e a
ltomedievale. L’intera area si trova in fase di
trasformazione, ma senza un programma definito. Si
è ottenuto così il risultato di aver generalizzato
la frammentazione delle aree scavate e separate tra
loro ai margini della strada. Ai bordi degli scavi
,
in molti casi palesemente intesi come definitivi, e
nei restauri già eseguiti si è adottato il criteri
o di
conservare poco selettivamente i resti che document
ano le trasformazioni edilizie subite dall’area
nel corso dei secoli. In tal modo non sono comprens
ibili né le singole fasi storiche né la successione
delle trasformazioni urbane. Ne è risultata una sis
temazione incongrua con porzioni di aree scavate
pressoché inagibili e separate tra loro, incomprens
ibili e prive di particolare fascino per
l’affollamento di muri che si compenetrano e si sov
rappongono. È il fallimento di un grande
programma [figg. 25-27]
Lo scoprimento dei livelli antichi dei Fori ha un s
enso se concepito come la prima fase, quella
conoscitiva, di una trasformazione dell’area e non
per una sua autonoma finalità. Deve poi
subentrare la sistemazione, con la scelta e la rico
mposizione degli elementi atti a rappresentare le
trasformazioni che i luoghi hanno subito nel tempo
e la rievocazione di significati storici. Il
paesaggio che emerge dall’assetto di uno scavo è se
mpre un’astrazione simbolica, una cosa che non
è mai stata ma che ha la capacità di rievocare quel
lo di cui mediante lo scavo si è riconosciuta
l’esistenza; un paesaggio la cui storicità si reali
zza nel presente. Il più bell’esempio di una tale
sistemazione è il Foro romano, una creazione del No
vecento, in gran parte dovuta a Giacomo Boni,
il quale seppe sottrarre senza remore elementi non
funzionali alla composizione del paesaggio e alla
rappresentazione più efficace della sua dimensione
temporale. Non è vero che furono eliminate le
testimonianze di età medievale per preferire quelle
di epoca classica. Boni documentò quello che la
scienza del suo tempo considerava necessario ma asp
ortò livelli e strutture di età antica e medievale
per giungere all’assetto che nel Foro tuttora si ma
ntiene. Una prospettiva analoga è da immaginare
per i Fori imperiali, quando all’esplorazione dovra
nno subentrare le sistemazioni funzionali all’uso
degli spazi e la composizione di un nuovo paesaggio
urbano.
Gli scavi recenti dei Fori imperiali non sono andat
i oltre le aspirazioni e le speranze che si potevan
o
avere già negli anni Trenta, dopo le grandi demoliz
ioni; aspirazioni peraltro già concepite molto
tempo prima e manifestate apertamente nel 1911 da C
orrado Ricci quando progettava le prime
demolizioni sul versante orientale della via Alessa
ndrina:
Non v’ha certo chi non vegga che l’impresa più bell
a e più completa per la liberazione dei Fori
sarebbe quella, ripetutamente proposta, di scoprirl
i del tutto abbattendo interamente le case
vecchie e recenti che sorgono tra la via del Foro T
raiano, via Marforio, Tor de’Conti e via di
Campo Carleo, ossia tutto l’enorme quartiere solcat
o da via delle Chiavi d’Oro, Cremona,
Priorato, Alessandrina, in un senso; Carbonari, Mar
morelle, Bonella e Croce Bianca nell’altro.
Ma non v’ha pure chi non vegga e riconosca le enorm
i difficoltà finanziarie e di economia
cittadina che si oppongono a tale magnifico progett
o sino al punto da confinarlo, per ora e per
molto ancora, nel mondo dei sogni.
È indubbio che alla base del nuovo assetto degli an
ni Trenta non vi sia stato solo l’intento di creare
un asse viario tra Piazza Venezia e il Colosseo, ch
e non avrebbe richiesto così vaste demolizioni; tra
le tante sollecitazioni esercitate per attuare il p
rogramma nella forma più drastica, seppure con
finalità contrastanti, dovettero essere assai influ
enti quelle che rappresentavano il sogno di Corrado
Ricci.
Ho prima accennato alla posizione assunta dalla Com
missione del 2014 in difesa della
“conservazione del segno costituito dall’asse della
via dei Fori imperiali” mediante un ponte da
costruirsi per scavalcare l’area degli scavi, senza
prendere in esame soluzioni che possano invece
consentire la rimozione della strada. Una prima pos
sibilità riguarda la creazione di percorsi carrabil
i
oltre che pedonali, per limitate esigenze di colleg
amento, alle quote archeologiche tra Piazza
Venezia e il Colosseo. Anche mediante accorti resta
uri i Fori dovrebbero svolgere nuovamente la
funzione di spazi transitori, oltre che di visita e
di sosta. L’altra soluzione, che può peraltro
combinarsi con la prima, riguarda un percorso carra
bile sulla via Alessandrina [figg.28-30]. Questo
è l’unico tracciato storico che ancora sopravvive d
opo l’abbattimento dell’intero quartiere. Ha
un’ampiezza sufficiente per sostenere il passaggio
di autoveicoli e mezzi di trasporto pubblico nelle
due direzioni e nella misura ora consentita sulla v
ia dei Fori. La via Alessandrina è già un viadotto,
sostenuto sul versante dei Mercati di Traiano da un
a sequenza di archi ideati per il collegamento
con il Foro di Traiano di cui si prevedeva lo scavo
. L’apertura degli archi non sarebbe altro che il
compimento di una sistemazione già predisposta.
È veramente strano come nelle attuali previsioni vi
sia in primo luogo la demolizione della via
Alessandrina. Anche volendola rimuovere, questo dov
rebbe avvenire al compimento delle
sistemazioni dell’intera area, quali che siano, se
non altro per ovvi motivi di agibilità durante i
lavori e per la loro esecuzione. I fondi donati dal
l’Azerbaigian potrebbero essere impiegati per un
importante restauro, più utilmente che per una demo
lizione: si potrebbero innalzare nuovamente
colonne abbattute che contribuirebbero a creare il
nuovo paesaggio archeologico.
A mio avviso non vi sono motivi che possano oggi co
ncretamente impedire la rimozione della via
dei Fori imperiali, non per compiere un atto demoli
torio ma per attribuire nuove funzioni e una
rinnovata immagine a quella parte di Roma.
In un modo o nell’altro le grandi vicende urbanisti
che di Roma hanno dovuto fare i conti con le
testimonianze dell’antichità, e questo è avvenuto m
ediante il riuso, la riscoperta, la distruzione.
Ancora oggi, qualunque concezione si voglia avere d
i Roma nello stato presente e nelle sue
prospettive di trasformazione, resta dominante il r
apporto con la storia e con le sue vestigia. Come
in tanti altri luoghi, il sostrato millenario ha in
fluito sulla forma della città, ma a Roma anche gli
aspetti salienti del paesaggio sono composti di edi
fici antichi, monumenti, rovine costruite
solidamente ‘per l’eternità’. Ruderi che per secoli
hanno dominato, imponenti e solitari, le vedute
aperte della campagna, ora assediati da fabbricati
anonimi, sono divenuti elementi d’identità storica
e di originalità architettonica in nuovi quartieri
di periferia. Il paesaggio di Roma è senza uguali a
l
mondo per la dimensione e la quantità di testimonia
nze storiche. Fin dal Medio Evo i monumenti
antichi vi hanno rappresentato un’epoca lontana, un
mondo finito ma a noi nondimeno familiare in
quei suoi aspetti formali che Umanesimo e Rinascime
nto hanno trasferito nella cultura moderna. I
caratteri storici ancora latenti possono svolgere a
Roma più che in ogni altro luogo un ruolo
importante nell’innovazione della città, nel suo ad
eguamento alle esigenze dei tempi,
nell’invenzione di nuove forme di paesaggio. Tutto
questo può essere allora concepito solo nel
disegno di una città che nel rinnovarsi sappia pur
sempre mantenersi
digna antiquitate
.
Roma, 9 marzo 2015.
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