Il Fatto quotidiano ha pubblicato il 26 maggio un vademecum (Villone, Gallo, Grandi) pensato per esporre analiticamente le ragioni del no rispondendo ad obiezioni di buon senso.
E’ importante confrontare i punti di vista e dunque le analizzo punto per punto riportando la risposta dei giornalisti del Fatto e una mia breve contro-replica.
Al termine della stesura delle mie osservazioni mi pare che nei 30 punti manchi quasi completamente una analisi della dialettica tra Parlamento e Governo.
1. Perché raccogliere le firme, se il referendum è stato già chiesto dai parlamentari?
Non si può lasciare al Palazzo la scelta se votare su una vasta modifica della Costituzione, facendone un plebiscito Renzi sì-Renzi no. La richiesta dei cittadini corregge la torsione plebiscitaria, inaccettabile perché impedisce la discussione di merito su una modifica pessima e stravolgente, che va respinta a prescindere dalla sorte del governo.
Concordo sulla importanza del coinvolgere le persone, non concordo sul fatto che giocarsela in prima persona indichi una deriva plebiscitaria. Su questi aspetti la riforma Boschi non ha modificato nulla. Se non c’è stata maggioranza dei 2/3 il referendum, dice la Costituzione, può essere richiesto da un quinto dei membri di una camera, oppure 500.000 elettori oppure cinque consigli regionali.
2. Ma anche Renzi ha avviato la raccolta delle firme.
Lo ha fatto non per amore di democrazia, ma solo perché i sondaggi hanno dimostrato che la via del plebiscito personale era per lui pericolosa. È anche un tentativo di scippare la bandiera della raccolta firme ai sostenitori del no. Tutto deve essere nel nome del governo.
Esempio di malafede nel confrontarsi con i competitor: se lo dico io è cosa buona e giusta, se lo dici tu è perché ti preoccupi e hai dei secondi fini.
3. Finalmente si riesce dove tutti avevano fallito.
È decisivo il come. Un Parlamento illegittimo per l’incostituzionalità della legge elettorale, e una maggioranza raccogliticcia e occasionale, col sostegno decisivo dei voltagabbana, stravolgono la Costituzione nata dalla Resistenza. L’irrisione e gli insulti rivolti agli avversari vogliono nascondere l’incapacità di rispondere alle critiche.
Il Parlamento non è illegittimo; leggere la sentenza invece di sbandierarla e la richiesta di proroga a Napolitano si accompagnò all’impegno di centro destra e centro sinistra a fare la riforma. Il Parlamento, nonostante i cambiamenti di opinione, nonostante i cambi di casacca, ha votato 6 volte, sempre con maggioranze tra il 56 e il 59%.
4. La legge Renzi-Boschi riduce i costi della politica, cancellando le indennità per i senatori non elettivi.
Il risparmio è di spiccioli. La gran parte dei costi viene non dalle indennità, ma dalla gestione degli immobili, dai servizi, dal personale. Mentre anche il senatore non elettivo ha un costo per la trasferta e la permanenza a Roma, nonché per l’esercizio delle funzioni (segreteria, assistente parlamentare, etc). Risparmi con certezza maggiori si avrebbero – anche mantenendo il carattere elettivo – riducendo la Camera a 400 deputati, e il Senato a 200. Avremmo in totale 600 parlamentari, invece dei 730 che la legge Renzi-Boschi ci consegna.
Non considero quello dei risparmi un elemento decisivo. Ne ho già trattato nel secondo articolo, aggiungo che l’articolo 40 comma 3 della legge di riforma prevede il ruolo unico dei dipendenti e la unificazione dei servizi da cui discenderà nel tempo il risparmio auspicato (servizi unici, eliminazione delle duplicazioni, riduzione dei dipendenti). Come si vede si tratta di una questione importante solitamente ignorata dai detrattori.
“Tenuto conto di quanto disposto dalla presente legge costituzionale, entro la legislatura in corso alla data della sua entrata in vigore, la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica provvedono, secondo criteri di efficienza e razionalizzazione, all’integrazione funzionale delle amministrazioni parlamentari, mediante servizi comuni, impiego coordinato di risorse umane e strumentali e ogni altra forma di collaborazione. A tal fine è istituito il ruolo unico dei dipendenti del Parlamento”.
I risparmi ci saranno, l’aumento di efficienza anche. Personalmente considero utile anche un intervento di riduzione dei membri della Camera per ragioni di efficienza. Si tratta di una questione che si potrà affrontare successivamente e che va però valutata con riferimento al numero di Collegi per evitare di abbassare troppo il numero di posti disponibili in ogni Collegio il che determinerebbe una scarsa influenza delle scelte degli elettor nell’elezione dell’uno o l’altro dei candidati.
Ne ho trattato in Riforma della Costituzione 2: il nuovo Senato. Trattandosi del Parlamento la discussione non va comunque iniziata ragionando in termini di risparmi ma piuttosto in termini di efficienza. Si devono eliminare gli sprechi non le spese avendo coscienza che la democrazia ha un costo.
5. I senatori eletti dai consigli regionali nel proprio ambito, insieme a un sindaco per ogni regione, rappresentano le istituzioni di autonomia. È la Camera delle Regioni, da tempo richiesta.
Falso. Un consigliere regionale è espressione di un territorio limitato e infraregionale, cui rimane legato per la sua carriera politica. Lo stesso vale per il sindaco-senatore. Avendo pochi senatori, ogni regione sarà rappresentata a macchia di leopardo. Pochi territori avranno voce nel Senato, e tutti gli altri non l’avranno. È la Camera dei localismi, non delle regioni.
6. Sarebbe stato meglio con l’elezione diretta?
Certo, perché i senatori eletti avrebbero dato rappresentanza a tutto il territorio regionale e a tutti i comuni. Una vera Camera delle regioni richiede l’elezione diretta, mentre l’elezione di secondo grado apre la via ai localismi e agli egoismi territoriali.
Ho unito i punti 5 e 6 perché ho difficoltà a capire distintamente la argomentazione.
Il Senato, Camera delle autonomie, dovrebbe superare i localismi interni alla regione proprio attraverso la elezione indiretta. Il rischio di localismo interno alla Regione esiste sempre (anche quello tra le Regioni) e la elezione indiretta (con coinvolgimento degli elettori) dovrebbe determinare una riduzione del rischio di localismo e potenziare l’autonomia del senatore chiamato a ragionare in termini di difensore delle autonomie locali.
La scelta fatta è stata di contemperare esigenze di rappresentanza regionale e obbligo per il consiglio regionale di tener conto delle indicazioni del corpo elettorale. Il rischio del localismo non è tanto da addebitare alla modalità di elezione quanto alla insufficiente maturità politica dei ceti dirigenti regionali. Lo si capisce bene osservando che spesso le differenziazioni sulle problematiche della sussidiarietà sono trasversali alle forze poltiche. Lo si può vedere nel ruolo giocato dalle regioni più avanzate in sede di conferenza Stato-Regioni, con posizioni e standard di servizi garantiti del tutto indipendenti dagli schieramenti politici di riferimento.
Nelle Regioni più grandi ci sarà spazio per una dialettica di schieramento e per differenziazioni interne ad uno stesso schieramento; per quelle più piccole i margini saranno molto ristretti come si evince dalla elaborazione già pubblicata cui aggiungo ora una ipotesi relativa alla distribuzione tra le forze politiche in base alla attuale composizione dei consigli.
La seconda tabella consente anche di fare qualche osservazione relativa al fatto che, nonostante la attuale stragrande maggioranza di centro sinistra nel governo delle Regioni, non si ha un immediato ribaltamento nella composizione del Senato. Se si aggiunge poi che il Senato viene via via aggiornato in corrispondenza di ogni elezione regionale e comunale (del Sindaco coinvolto) si determina una situazione di compensazione (rispetto alla Camera) analoga a quella che si verifica negli USA.
7. Il riconoscimento del seggio senatoriale può essere la via per creare un circuito di eccellenza nel ceto politico regionale e locale.
È vero piuttosto, al contrario, che si rischia un abbassamento della qualità nei massimi livelli di rappresentanza nazionale. Basta considerare le cronache di stampa e giudiziarie. Soprattutto perché ai consiglieri-senatori e ai sindaci-senatori si riconoscono le prerogative dei parlamentari quanto ad arresti, perquisizioni, intercettazioni. Un’inchiesta penale a loro carico può diventare molto difficile, o di fatto impossibile.
8. Ma le prerogative non riguardano le funzioni di consigliere regionale o di sindaco, che rimangono senza copertura costituzionale.
E come si possono distinguere? Se il sindaco-senatore o il consigliere-senatore usa il proprio telefono nell’esercizio delle funzioni connesse alla carica locale diventa per questo intercettabile? E se tiene riunioni nella sua segreteria di senatore? Le attività di indagine verrebbero scoraggiate, o quanto meno gravemente impedite.
Puro qualunquismo sia sul ceto politico regionale sia sulle questioni della immunità parlamentare. In linea con la impostazione pentastellata del Fatto.
9. L’elezione diretta dei senatori è stata sostanzialmente recuperata nell’ultima stesura per le pressioni della minoranza Pd.
Falso. Rimane scritto che i senatori sono eletti dai consigli regionali tra i propri componenti. È stato solo aggiunto il principio che debba essere assicurata la conformità agli indirizzi espressi dagli elettori nel voto per il consiglio. Ma è tecnicamente impossibile. A 10 regioni e province (Valle d’Aosta, Bolzano, Trento, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata) spettano 2 seggi, e a Calabria e Sardegna ne spettano 3. Uno dei seggi è riservato a un sindaco. Come si può rispettare la volontà degli elettori quando il consiglio elegge un solo consigliere-senatore, o due?
10. Il principio della conformità al volere degli elettori è comunque stabilito.
Ma cosa la “conformità” significhi, come possa realizzarsi, e cosa accadrebbe nel caso non si realizzasse rimane oscuro. In ogni caso si rinvia a una successiva legge, che – vista l’impossibilità di risolvere il problema – potrebbe anche non venire mai. Una norma transitoria rimette in pieno la scelta ai consigli regionali.
Rimango stupito dalla contraddittorietà dell’argomentare. Se ci fosse la elezione diretta, con quei numeri, cambierebbe qualcosa rispetto ai problemi citati? No.
Spero di aver fatto un servizio utile pubblicando le tabelle. Aggiungo che si trascura un elemento importante sulla funzione del Senato. Nel suo essere camera delle autonomie è fondamentale il legame tra il senatore e il consiglio regionale in carica. Ne segue che non ci sarà, ed è bene che sia così, una data per la elezione e decadenza dell’intero Senato.
La Costituzione fissa un principio (conformarsi alla volontà degli elettori); la modalità applicativa la fisserà la legge elettorale del nuovo Senato che sarà approvata da questa legislatura e sottoposta ad esame preventivo dalla Corte Costituzionale come accadrà per quella della Camera già approvata. Le soluzioni potrebbero essere diverse: il Presidente, il consigliere regionale più votato, il Sindaco della città capoluogo o rinvio alle leggi regionali, …
11. Ma il Senato non elettivo serve a superare il bicameralismo paritario, fonte di continui e gravi ritardi.
Falso. Si poteva giungere a un identico bicameralismo differenziato lasciando la natura elettiva del Senato. In ogni caso, le statistiche parlamentari – disponibili sul sito del Senato – ci dicono che nella legislatura 2008-2013 le leggi di iniziativa del governo, che assorbono in massima parte la produzione legislativa, sono arrivate all’approvazione definitiva mediamente in 116 giorni. Addirittura, per le leggi di conversione dei decreti legge sono bastati 38 giorni, che scendono a 26 per la conversione dei decreti collegati alla manovra finanziaria. Numeri, non chiacchiere.
Negare la inconcludenza del bicameralismo paritario significa non vedere cosa accade ogni giorno da almeno 20 anni (diminuzione del ruolo del Parlamento, legislazione quasi esclusiva attraverso iniziativa governativa e/o voti di fiducia a raffica).
La riforma della costituzione cerca di ristabilire un percorso legislativo virtuoso in cui trovino spazio i tre attori: la camera dei deputati, il governo, la camera delle autonomie con ruoli, garanzie, percorsi e funzioni diverse.
12. Il bicameralismo differenziato semplifica comunque i processi decisionali e assicura maggiore rapidità.
Solo in apparenza. Negli art. 70 e 72 vigenti il procedimento legislativo è disciplinato con 198 parole. La legge Renzi-Boschi sostituisce i due articoli con 870 parole. Può mai essere una semplificazione? In realtà si moltiplicano i procedimenti legislativi diversificandoli in rapporto all’oggetto della legislazione. Ne vengono incertezze e potenziali conflitti tra le due camere, che potrebbero arrivare fino alla Corte costituzionale.
13. Ma su molte materie la Camera ha l’ultima parola, e questo evita le “navette”.
Le navette prolungate, con reiterati passaggi tra le due Camere, sono in genere sintomo di difficoltà politiche nella maggioranza, che – se ci fossero – si manifesterebbero anche con una sola Camera. Mentre il Senato comunque partecipa paritariamente su materie di grande rilievo, come le riforme costituzionali. Con quale legittimazione sostanziale, data la sua composizione non elettiva?
Se il ruolo del Senato cambia, il processo legislativo si fa più rapido. La polemica sulle 870 parole contro le 198 precedenti finge di ignorare che sono state introdotte garanzie ai poteri del Senato in ambito legislativo e di controllo e che tali garanzie, come ho già osservato qui, richiederanno una fase di assestamento e di rodaggio nel corso della quale il Senato comprenda che la sua non è e non dovrà essere una funzione di guerriglia, ma di intervento sulle questioni istituzionalmente rilevanti.
Per altro il nuovo Senato, indipendentemente dalle composizioni politiche, non riuscirebbe a reggere azioni prolungate di logoramento, visto che non riuscirà a lavorare se non in maniera programmata e per pochi giorni al mese (data la composizione fatta da senatori consiglieri, presidenti di regione e sindaci) e dunque si verrà a determinare necessariamente un comportamento virtuoso. Sarà il Senato, nell’ambito dei nuovi poteri affidategli dalla Costituzione, a decidere, di volta in volta come legiferare, come controllare, come consigliare.
14. La fiducia viene data dalla sola Camera e questo contribuisce alla stabilità.
Poco o nulla. Nell’intera storia repubblicana il diniego della fiducia ha fatto cadere soltanto due governi (i due Prodi). Lo stesso governo Renzi è nato con una manovra di palazzo volta all’omicidio politico di Letta. Senza quella manovra, Letta potrebbe essere ancora in carica dall’inizio della legislatura.
Il tema della fiducia va visto non in riferimento alle mozioni di sfiducia, ma alla nuova dialettica tra azione legislativa del governo e azione legislativa del Parlamento. Personalmente trovo che sarebbe stata l’occasione per introdurre il principio della sfiducia costruttiva in vigore in numerosi paesi e si sia persa la occasione. Se ne potrà riparlare con la successiva riforma perchè un tagliando, alla luce della esperienza, sarà certamente necessario.
15. Il rapporto di fiducia verso la sola Camera rafforza la governabilità.
La governabilità dipende non dal numero delle Camere, ma dalla coesione della maggioranza che sostiene il governo. Una maggioranza composita e frammentata non potrà mai produrre governabilità. È decisiva una buona legge elettorale, che componga in modo corretto i valori “governabilità” e “rappresentanza”.
Vero; è quello che chiedono i cittadini ed è quello che si è fatto con la nuova legge elettorale in particolare con la scelta del premio di maggioranza alla lista e non alle coalizioni (il che limita le finte aggregazioni), con il turno di ballottaggio se la lista maggioritaria non arriva al 40% e con il fatto che il ballottaggio è una elezione vera orientata alla governabilità. La si pianti dunque di fare i conteggi ipotetici ed i confronto tra I e II turno. Il II turno se c’è (cioè se nessuno raggiunge il 40%) è una nuova elezione.
16. Per questo l’Italicum è il giusto complemento alla riforma della Costituzione.
Niente affatto. L’Italicum riproduce i vizi del Porcellum già dichiarati costituzionalmente illegittimi: eccesso di disproporzionalità tra i voti e i seggi attribuiti con il premio di maggioranza, per di più dato a un singolo partito; lesione della libertà di voto dell’elettore per il voto bloccato sui capilista, che possono anche essere candidati in più collegi.
Sugli elementi di costituzionalità deciderà la Corte Costituzionale che, in base alla nuova Costituzione viene chiamata ad un parere preventivo sulle nuove leggi elettorali compresa quella già approvata per la Camera. L’Italicum è stato pensato tenendo presente il pronunciamento della Corte sul Porcellum e invece si finge di ignorare la questione e si parla di Parlamento illegale, Parlamento delegittimato, … perché fomentare il qualunquismo fa comodo al disegno dei nemici delle riforme.
17. Ma l’Italicum prevede una soglia al 40%, superata la quale la lista ottiene 340 deputati, e il ballottaggio a due nel caso la soglia non venga raggiunta. Con il ballottaggio ci sarà comunque un vincitore che supera il 50%.
Al ballottaggio e al premio si accede senza alcuna soglia. Se nel ballottaggio un partito prendesse 2 voti e l’altro 1, il primo avrebbe comunque 340 seggi. Come col Porcellum è possibile che un singolo partito con pochi consensi nel Paese abbia in Parlamento una maggioranza blindata di 340 seggi, mentre tutti gli altri soggetti politici, che pure assommano nel totale maggiori consensi, si dividono i seggi rimanenti. Conseguenza: il voto dato alla lista vincente pesa sull’esito elettorale fino a 4 volte il voto per le altre liste. Un grave elemento di diseguaglianza tra gli elettori.
Sono le regole del maggioritario (corrette da elementi di proporzionalismo e dalla preferenza) volute dalla maggioranza degli Italiani e in vigore (in forme svariate) da decenni in molti paesi. Perché nessuno parla male dell’Inghilterra o degli USA?
Per l’Italia bisognerebbe piantarla di fare ragionamenti al limite (tipo si vince con il 10%) e ragionare sul fatto che: 1) le elezioni politiche servono a registrare la volontà degli elettori e che quando c’è incertezza il ballottaggio consente di far emergere scelte non ambigue 2) nelle elezioni politiche è normale (regola democratica) che non esista il quorum
18. Un premio di maggioranza non è di per sé incostituzionale.
Ma è incostituzionale quello dell’Italicum. Già la soglia al 40% configura un premio di maggioranza enorme, con 340 deputati garantiti. Per di più, essendo sempre 340 i seggi assegnati alla lista vincente, il premio sarà maggiore per chi ha il 40% dei voti, minore per chi ha il 41%, e così via. Meno voti si prendono, più seggi aggiuntivi si ottengono con il premio. Un elemento di manifesta irrazionalità.
Si chiama meccanismo a doppio turno. Come ho già detto, quella al II turno è una nuova elezione. La scelta di assegnare 340 deputati (54%) consente al vincitore di governare e non intacca le decisioni che richiedono maggioranze più ampie di quella assoluta.
19. Ma l’Italicum garantisce che si sappia chi vince la sera del giorno in cui si vota. Un elemento di certezza.
Che nessun sistema elettorale potrà sempre e comunque assicurare. E in ogni caso la governabilità non si assicura dando un potere blindato con artifici aritmetici a chi ha una minoranza – anche ristretta – di consensi reali nel paese. Sarà pur sempre un governo al quale la parte prevalente del corpo elettorale ha negato adesione e sostegno.
Si chiamano elezioni; non sono artifici; la legge è nota prima di andare al voto e l’elettore conosce le regole e le conseguenze del suo voto (o non voto). I sistemi maggioritari danno la preferenza al principio che chi prende un voto in più vince e gli danno le condizioni per poter governare ed essere giudicato al termine del mandato ricevuto.
Non è lecito sommare tutti gli antagonisti (in contrasto tra loro) e dire che sono di più di chi ha vinto. Quello che vince è un progetto di governo che si confronta con altri progetti.
20. Non è corretto censurare l’Italicum con l’argomento che apre la via all’uomo solo al comando.
Invece sì. L’Italicum prevede, come già il Porcellum, la figura del “capo” del partito. Il voto bloccato sui capilista e le candidature plurime per gli stessi capilista consentono al leader del partito di controllare in ampia misura la scelta dei parlamentari da eleggere, per la maggioranza blindata dal premio. La concentrazione del potere è indiscutibile.
Tralascio di commentare le forzature sull’uomo solo al comando anche perché nella riforma è rimasto il principio del caattere parlamentare dell,a nostra democrazia (il capo del governo continua a non esere eletto) anche se si rafforzano necessariamente le leadership (ma ciò è frutta dei mutamenti della società della comunicazione).
Il voto bloccato sui capilista e le candidature plurime sono state voluto dal centro destra e dai piccoli partiti per garantire la eleggibilità dei leader nazionali che, spesso, non riescono a prevedere in quali collegi avranno gli eletti. Si sarebbe potuto aggiungere, per evitare distorsioni, che il capolista viene eletto nel Collegio in cui ha preso più voti; ma forse questo sarebbe stato penalizzante per quei candidati che con il loro lavoro contribuirono a quella vittoria.
21. Ma chi firma per il referendum abrogativo sull’Italicum vuole tornare al proporzionale puro di lista e preferenza, con tutti i rischi di ingovernabilità?
Niente affatto. Si vuole soltanto ristabilire una condizione politica non viziata da meccanismi elettorali costituzionalmente illegittimi. Si potrà allora scegliere – con corretta partecipazione demcratica e piena rappresentanza politica – di quali riforme il paese ha bisogno, inclusa la scelta di una legge elettorale conforme a Costituzione.
C’è sempre uno che, quando si decide, dice che il problema è un altro. Qual è la proposta?
22. È comunque eccessiva l’accusa di deriva autoritaria. Resta intatto il sistema di checks and balances.
Ma l’effetto sinergico della riduzione del numero dei senatori e il dominio sulla Camera assicurato dal premio rendono decisiva l’influenza della maggioranza di governo nell’elezione in seduta comune del capo dello Stato e dei membri del Csm, come anche per la Camera dei membri della Corte costituzionale o delle Autorità indipendenti.
E’ falso e basta leggere gli articoli della riforma dedicati alle maggioranze qualificate. Mi limito a riportare questa osservazione analitica del professor Fusaro che fa riferimento alle due tabelle pubblicate al punto 6 (/testo completo del documento).
Per eleggere il presidente della Repubblica e i componenti del Consiglio superiore della magistratura è prescritta – almeno – la maggioranza dei 3/5 (= 60%) dei votanti; per eleggere i giudici costituzionali sempre il 60%, ma dei componenti (suddivisi i giudici fra i tre eletti dalla Camera e i due dal Senato); per la revisione costituzionale senza referendum i 2/3 (= 66.6%) dei componenti. L’Italicum assicura il 54% circa, dunque non basta in alcun caso. Si aggiunga che – in base a una attendibile simulazione – pur governando 17 regioni su 21, il PD avrebbe da 51 a 53 senatori; il centrodestra da 28 a 30; il M5S 9; altri 5. La norma sull’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali è formulata in modo da essere solo tendenzialmente proporzionale (anzi: esattamente come il Parlamento europeo è “degressivamente proporzionale”, cioè tanto meno proporzionale quanto più grande è la Regione): e avvantaggia in realtà minoranze ed opposizioni (specie nelle dieci regioni con solo due senatori). Quindi chi conquistasse 340 deputati e contasse anche su 50 senatori, raggiungerebbe 390 parlamentari: ma i tre quinti sono 435 e due terzi sono 480. Ciò significa che non è immaginabile che un solo partito, oltre che governare, possa eleggersi – da solo o quasi – presidente della Repubblica, membri del Csm, giudici costituzionali, cambiare la Costituzione senza referendum. Nelle singole Camere i tre quinti (necessari per l’elezione giudici costituzionali) sono 420 e circa 65 rispettivamente (contro 340 al partito che vince e i 50-53 che avrebbe un partito che, come il Pd, controllasse quasi tutte le regioni).
23. Sono effetti bilanciati dal rafforzamento degli istituti di democrazia diretta, ad esempio per l’iniziativa legislativa popolare.
Falso. Le firme richieste per la presentazione di una proposta di legge sono triplicate, da 50 a 150 mila. Le garanzie sono rinviate al Regolamento, e la maggioranza parlamentare rimane libera di rigettare o modificare la proposta. In altri ordinamenti, la proposta può andare all’approvazione per via referendaria, quanto meno nel caso di modifica o rigetto del Parlamento.
Le leggi di iniziativa popolare avranno tempi certi per la discussione (al contrario di quanto accade oggi) e il numero di firme a 150 mila serve ad evitare di intasare il Parlamento con leggine irrilevanti.
24. Ma il referendum abrogativo si rafforza per l’abbassamento del quorum di validità, fissato alla maggioranza dei votanti nelle ultime elezioni per la Camera.
Solo nel caso che sia stato richiesto con ben 800.000 firme, tetto quasi impossibile da raggiungere in un tempo in cui i corpi intermedi – partiti, sindacati – sono indeboliti o sostanzialmente dissolti. E non si capisce perché un referendum debba avere un quorum più alto se richiesto da 500.000 cittadini e più basso se richiesto da 800.000.
Qui siamo alla malafede. Nei referendum abrogativi il quorum è un dato indispensabile in una logica istituzionale corretta (si interviene a correggere una decisione del Parlamernto liberamente eletto).
Si potevano scegliere due strade per ridare all’istituto referendario il peso che è andato perdendo nel tempo.
a) La strada che avrei preferito, e l’ho scritto molte volte, era quella di un numero di firme molto alto (almeno 2 milioni) con contestuale abolizione del quorum e parere preventivo di legittimità. Il numero molto elevato garantisce dalle lenzuolate e della serietà della proposta. Ciò consente di superare il vincolo del quorum perché si determina il coinvolgimento attivo e preventivo di una parte consistente dell’elettorato.
b) La strada scelta e approvata del quorum riferito non agli elettori ma ai votanti delle politiche. Mi pare decisamente sensata e trovo strumentale affermare che 800’000 firme siano un obiettivo irraggiungibile. Io penso di no, quando si tratta di cose serie; in cambio si ha la validità con partecipanti intorno al 30% (50% dei votanti alle ultime politiche). Segnalo che per i referendum indetti da almeno 5 consigli regionali (l’ultimo sulle concessioni di estrazione cui è mancato il quorum) non cambia nulla
25. Si prevedono i referendum propositivi e di indirizzo.
È fumo negli occhi. I referendum propositivi e di indirizzo sono solo menzionati a futura memoria nella legge Renzi-Boschi, che ne rinvia la disciplina a una successiva legge costituzionale. Tutto rimane da fare. Cosa impediva di introdurre fin da ora una disciplina compiuta? Un chiaro intento di non provvedere.
Quello che va bene, va male perché è fumo negli occhi? Si fissa un principio e ci si comporta da persone serie rispetto ad un tema complesso. Con quale livelli di dettaglio si formula la proposta? Quali margini di libertà rimangono al Parlamento? E’ del tutto evidente che servirà una legge costituzionale.
26. Si correggono gli errori fatti nella revisione del Titolo V approvata nel 2001.
Non si correggono gli errori vecchi facendone di nuovi e sostituendo alla frammentazione un neo-centralismo statalista. Ad esempio, non è accettabile che il governo passi sulla testa delle popolazioni locali nella gestione del territorio sotto l’etichetta di opere di interesse nazionale o simili. La vicenda trivelle deve insegnarci qualcosa.
27. Si semplifica il rapporto tra Stato e Regioni, che ha dato luogo a un enorme contenzioso davanti alla Corte costituzionale.
Ma non mancano contraddizioni e ambiguità, che possono tradursi in nuovo contenzioso. La soppressione della potestà concorrente in chiave di semplificazione del rapporto Stato-Regioni è ad esempio pubblicità ingannevole, perché si crea una nuova categoria di “disposizioni generali e comuni” che è difficile distinguere dalle leggi cornice della attuale potestà concorrente. E c’è anche un richiamo a “disposizioni di principio”.
28. Si rafforza lo Stato riportando a esso potestà legislative importanti.
La legge Renzi-Boschi riduce sostanzialmente lo spazio costituzionalmente riconosciuto alle autonomie. Alcuni profili potrebbero essere – se isolatamente considerati – apprezzabili. Ma il neo-centralismo statale è negativo in un contesto di complessiva riduzione degli spazi di partecipazione democratica e di rappresentanza politica.
Tratterò la questione in uno specifico articolo:
perché si tratta di una questione tecnica complessa su cui in passato si è sbagliato(cosa riservare alla legislazione esclusiva nazionale)
perché viene cambiato il punto di vista che animò il governo Prodi sul tema della sussidiarietà (lo stato più importante è quello più vicino ai cittadini).
perché si elimina la potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni.
L’elenco delle questioni che ritornano allo stato tiene conto del contenzioso di questi anni davanti alla Corte Costituzionale. Sono assolutamente favorevole alla clausola di supremazia, potere di intervento dello Sato su questioni strategiche in cui è coinvolto l’interesse nazionale. La vicenda trivelle non c’entra nulla con quello di cui stiamo trattando.
29. La de-costituzionalizzazione delle Province è un momento importante di semplificazione istituzionale.
Vale anche per le Province quanto detto per il neo-centralismo statale. Inoltre, sono un elemento marginale nell’impianto della legge Renzi-Boschi. Una parte persino non necessaria, come è provato dal fatto che la riforma delle Province è stata già da tempo avviata. Il punto dolente è il modo in cui si sta realizzando.
Si dà certificazione costituzionale al processo già avviato con la soppressione dei consigli provinciali sostituiti da assemblee dei Sindaci. L’Ente Provincia cessa di essere uno degli elementi della democrazia rappresentativa e uno dei terminali dello stato (prefetture).
Si tratta di un tema complesso che necessiterà nel tempo di un intervento sull’istituto regionale: servono regioni più grandi, va definito meglio il core-business delle Regioni, va definita la modalità di articolazione territoriale dell’Ente Regione che si appropria delle competenze delle ex Province.
30. La soppressione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel) è positiva.
Vero, dal momento che il Cnel non esercita alcuna essenziale funzione politica o istituzionale. Ma la soppressione prende solo poche righe in una modifica della Costituzione per altro verso ampia e stravolgente. Bastava una leggina costituzionale mirata, che non avrebbe dato luogo a polemiche. La positività della soppressione non può certo bilanciare la valutazione negativa di tutto il resto.
Andava tolto di mezzo all’inizio degli anni 60.
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