Quando la moneta unica era la lira di Antonio Patuelli (Limes)

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di Antonio Patuelli

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Dodici zecche, 282 monete, una selva di dogane: questa era l’Italia prima del 1861. L’unificazione monetaria diede un impulso potente allo sviluppo del paese. L’euro può ancora fare altrettanto a livello europeo. Purché sia un mezzo, non un fine.

Estratto da Moneta e impero, il nuovo numero di Limes dedicato alla geofinanza.

[Carta di Laura Canali]

Solo la memoria e la storia riescono a farci capire davvero i grandi cambiamenti, vere e positive rivoluzioni, soprattutto se raffrontati con la realtà nella quale si viveva in Italia nel Novecento e ancor più nell’Ottocento.

Questo sguardo all’indietro consente di apprezzare appieno le grandi conquiste realizzate prima con l’Unità d’Italia e poi, di recente, in Europa con la libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali, nonché con la nascita della moneta comune, l’euro. Interessanti i racconti che documentano le caratteristiche delle condizioni di viaggio in Italia nell’Ottocento sulla base di diari, di epistolari e delle preziose «guide turistiche» dell’epoca. Da questi racconti emergono alcune significative e oggi inimmaginabili esperienze di vita e di viaggio.

Il critico d’arte inglese John Ruskin ha descritto le numerose ed esasperanti soste obbligate nel viaggio effettuato nel 1840 fra Bologna e Parma: «Sono giunto alfine alla meta dopo aver subito l’assalto di una folta schiera di doganieri. Vediamo nell’ordine: porta di Bologna, uscita: passaporto e gabella. Ponte, mezzo miglio più avanti: pedaggio. Dogana, due miglia innanzi, lasciati gli Stati Pontifici: passaporto e gabella. Dogana, dopo un quarto di miglio, entrati nel Ducato di Modena, prima l’ufficiale della dogana, poi l’addetto ai passaporti. Versato un tributo ad entrambi. Porta di Modena, entrata: dogana, gabella, passaporto. Porta di Modena, uscita: passaporto e gabella. Porta di Reggio, dogana, gabella, passaporto. Porta di Reggio, uscita: passaporto, gabella. Cambio di cavalli, più avanti: passaporto, gabella. Entrata nel Ducato di Parma, ponte: pedaggio, dogana, gabella, passaporto. Dunque in totale sedici soste, con una perdita media di tre minuti e un franco ogni volta. Quello della dogana di Modena non s’è rabbonito per meno di cinque paoli: l’ufficiale pontificio di Bologna ci ha assicurato che in coscienza non poteva evitare la perquisizione per meno di una piastra.

Nell’intero sistema c’è un che di furtivo e di obiettivo: arriva il doganiere, poggia la mano lurida sulla carrozza e non molla la presa finché non vi infili un franco, altrimenti attacca a frugarti». Consuete erano anche le difficoltà dei viaggiatori di fronte ai complessi e vari sistemi monetari propri dei tanti Stati e staterelli dell’Italia (così come di gran parte del resto d’Europa) prima del Risorgimento: le «guide turistiche» fino all’Unità d’Italia contenevano, infatti, tabelle pieghevoli con le raffigurazioni delle principali monete di ogni singolo Stato italiano, essendo assai difficile orientarsi.

Il processo di unificazione monetaria realizzato nel nostro paese, dunque, molto racconta anche del processo di unificazione monetaria europea. Prima dell’unità, in Italia vi era una vera e propria babele monetaria in cui circolavano le più disparate monete, fra le quali baiocco, carantano, carlino, doppia, ducato, fiorino, franceschino, francescone, lira, lirazza, marengo, onza, paolo, papetto, piastra, quattrino, scudo, soldo, svanzica, tallero, testone, zecchino. Nei territori che nel 1861 costituirono l’Italia unita, circolavano complessivamente 236 diverse monete e se si aggiungono quelle del Veneto e di Roma il totale sale a 282.

Il processo per la creazione dell’euro ha quindi un significativo precedente nella nascita della lira italiana dopo la seconda guerra d’indipendenza. Prima di allora l’Italia era divisa in sette tra Stati e staterelli, dove le rispettive zecche (ben dodici) coniavano monete sulla base di parametri di valore fra loro distinti. Il diritto a battere moneta era infatti vissuto come tangibile attributo della sovranità. Molte zecche furono soppresse dopo l’Unità d’Italia e solo quelle di Torino, Milano e Napoli rimasero in funzione dopo il 1861 per il nuovo Stato nazionale, fino al 1870.

Dopo la presa di Roma le zecche furono concentrate in Milano, cui successivamente fu associata la nuova capitale nazionale. Dal 1893 la zecca di Roma è divenuta l’unico stabilimento monetario italiano.

Questo è un estratto di un articolo presente in Moneta e impero, il numero di Limes dedicato alla finanza mondiale. Per leggere tutto l’articolo acquista il numero in edicola o in libreria oppure scaricalo in ebook o su iPad.

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