Quel giorno eravamo a 5 miglia da punta Stendardo e con fatica avevamo steso la coffa. C’era corrente ma eravamo incoraggiati da un fatto insolito. Avevamo affondato il capo della lunga lenza con braccioli ed ami laterali e da lontano vedevamo volteggiare i gabbiani. Un amico di Gaeta ci indicava i “parlanti” e cioè gabbiani che, a suo dire, nidificavano sulle falesie della montagna spaccata e di notte emettevano suoni simili alle grida dei bambini. E così tutto eccitato diceva:”guarda, guarda ci stanno pure i “parlanti”; lì ci deve stare tanto di quel pesce che vedi come si tuffano i “parlanti”. Effettivamente si fiondavano in acqua e riprendevano poi il volo con un gran baccano. Eravamo ormai convinti che avremmo preso tonnetti a palate. Decidemmo di attendere l’ora tarda del mezzogiorno per ritirare la coffa: Aldo con l’eterna sigaretta sul labbro, il tizio di Gaeta che discettava sui parlanti ed io che spremevo sarde in mare per attirare i tonnetti. Neanche uno ne prendemmo e così messe via le canne, col sole ormai alle tredici, cominciammo a tirar su la coffa. Si avvertiva una forte resistenza ed ogni tanto la bottiglia di plastica messa a mò di segnale s’ impennava come se sotto ci fosse stato un tonno abboccato.
Giungevamo al bracciolo e compariva invece l’acciaio nudo dell’amo. Di tonni neanche l’ombra. Ciò malgrado continuammo a tirare la lenza. I parlanti nel frattempo erano spariti. C’era qualcosa che non quadrava. La coffa appariva pesante ma non c’erano tonni. La corrente a scarroccio si faceva sentire quando ad un tratto vedemmo qualcosa muoversi sull’acqua con alti schizzi. Diavolo, pensammo, non potevamo esserci sbagliati, quel volteggiare di gabbiani indicava di certo la presenza di pesce e qualcosa si muoveva lungo la lenza. Tirammo ancora un pò e ci apparve il pescato: un gabbiano e più in là altri tre o quattro, tutti ben allamati che battevano le ali nel disperato tentativo di liberarsi. La corrente molto forte aveva portato in superficie le esche con gli ami ed i gabbiani ci si erano fiondati sopra. Delusi e fiaccati dal movimento della barca, continuammo a recuperare la coffa ma avevamo il problema di staccare i volatili evitandone i colpi di becco. Aldo tirò fuori una pinza da chirurgo e afferrò per il collo il primo gabbiano. Istintivamente gli dissi di mettersi i guanti e per convincerlo gli ricordai l’aviaria. Niente da fare aveva afferrato l’amo con le pinze e manovrava per evitare i colpi di becco, sacramentando contro l’aviaria, i “parlanti” e la mala mattinata trascorsa.
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