Prima di affondare il giudizio di censura sul pericolo mortale rappresentato dal grillismo, è bene chiedersi cosa ancora induca migliaia di persone a gremire le piazze per ascoltare le intemperanze espressive di un comico che manda tutti a quel paese. Quello che sembrava avere i tipici connotati di una episodica esplosione di rivolta, catastrofica nell’impatto immediato ma destinata a un rapido spegnimento dopo il crollo sistemico del 2013, ha invece assunto tratti più complessi e meno effimeri nelle sue prospettive di durata. Comprendere la genesi nascosta del fenomeno, prima di aggredirne con efficacia la patologia visibile, diventa perciò una cautela analitica necessaria.
Sul piano simbolico sono stati adottati o annunciati in questi mesi dei provvedimenti legislativi che avrebbero dovuto prosciugare in gran fretta il terreno di coltura del movimento e ridurlo entro dimensioni quantitative prossime alla irrilevanza. Abolito il finanziamento pubblico dei partiti, alzata la bandiera del Senato a costo zero, soppresso il ruolo amministrativo delle province, inasprito il conflitto con il sindacato, la volontà di sangue contro il ceto politico avrebbe dovuto incassare la vittoria e cessare le cruente ostilità. E invece no. La domanda di una sbrigativa vendetta non si placa. Il torrente dell’antipolitica torna a scorrere con una forza impetuosa e minaccia altri sfaceli.
Non si cura una cruda escrescenza di antipolitica, la cui simbologia cova da anni nel senso comune dominante, con delle iniezioni di un populismo dal volto mite somministrate dallo stesso ceto politico che è disposto a ordinare delle repentine ritirate strategiche pur di sopravvivere all’assedio. Certe concessioni simboliche per accarezzare l’onda anomala che tutto travolge, possono essere peggiori dell’arroccamento miope a difesa della cittadella circondata. E non a caso Grillo intima con la solita veemenza la resa senza condizioni e promette degli esemplari castighi (virtuali, precisa) comminati in sbrigativi processi di piazza. L’inseguimento del comico, condotto sul lessico e sulle metafore dell’antipolitica, non arresta la insorgenza cancerosa dell’antipolitica, che anzi penetra ovunque senza incontrare più resistenze. Se vengono a mancare degli essenziali anticorpi, consapevolmente di minoranza ma attivi sul terreno della risposta culturale, tutto si complica e più niente tiene.
È un grosso errore interpretativo individuare il ventre molle del grillismo nella scenografia anticasta e di riflesso dirottare la competizione con esso sul piano dell’antipolitica. L’antipolitica è soltanto la forma esteriore con cui un movimento antisistema dà senso e visibilità ad una rivolta. Non ne è però la causa. La genesi del fenomeno risiede piuttosto nell’alienazione politica di intere generazioni condannate all’anomia sociale, nel terrore della caduta di status che paralizza chi ha beni posizionali, nella mancanza di presente e nel furto di futuro che induce alla disperazione chi non ha canali di ascesa. La decrescita economica, che raggiunge livelli record, l’immobilità sociale che accompagna il declino, precedono in Italia la grande crisi del 2008. E per questo, come disegnare un governo pubblico della crescita economica e dell’inclusione sociale-generazionale, è la vera sfida per la rimotivazione della funzione della politica.
I poteri forti dei media e del denaro, che dapprima hanno gonfiato Grillo per bloccare la sinistra in agguato e per dare così compimento al sogno assurdo di una politica senza partiti, ora tremano al cospetto della loro stessa demoniaca creatura che scherza con il fuoco, annuncia di essere oltre Hitler e stuzzica la rabbia per ora contenuta dei sorveglianti del mercato mondiale. Si fa un immenso favore al comico, che urla nelle piazze frequenti battute sessuali, se vengono spezzate le catene dei legami sociali, sacrificate le organizzazioni delle classi lavoratrici, se sono decostruite le residuali strutture di partito per compiacere una malintesa personalizzazione della politica.
La riforma della politica, con canali di partecipazione continua che spazzino via i tanti emuli del ras di Messina ora in manette che sono disseminati nei territori più desolati, il recupero della rappresentanza sociale dei ceti popolari che vagano inermi senza più referenti ideali, la cura della esplosiva differenziazione territoriale che minaccia la frantumazione istantanea della cornice nazionale, sono questi i campi d’azione per contenere il germe patogeno del grillismo. Meno demonizzazione della follia del comico e più politica, dunque. E soprattutto occorre una visibile autocritica della sinistra per le forme degenerative e subalterne alle culture del ventennio che l’hanno resa priva di identità, organizzazione, classi sociali di riferimento. Il grillismo non si combatte senza una riforma radicale dei modi di essere della sinistra e senza un recupero della sua ambizione ad assalire la stratificazione sociale dell’Italia delle ingiustizie.
19 maggio 2014
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