Ospite di Riccardo Iacona il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri, uno dei magistrati più impegnati nella lotta contro la mafia; uno dei protagonisti della stagione dei maxi sequestri di droga. Con lui Presadiretta racconta l’operazione “New Bridge”, condotta dalla Polizia di Stato e dall’Fbi che dopo due anni di indagini ha spezzato il ponte tra la Cosa Nostra americana dei Gambino e le potenti cosche ndranghetiste del reggino, alleate nel traffico della droga. Le telecamere di Presadiretta hanno seguito gli arresti di pochi giorni fa a New York e in Calabria. Questa puntata di Presadiretta è il racconto della presenza mafiosa nel nostro paese; della capacità della ndrangheta di infiltrarsi nelle amministrazioni locali, che ha provocato lo scioglimento per mafia del primo Comune lombardo, Sedriano. Viene poi affrontato il tema dei tesori della mafia nelle mani dello Stato. Si stima che i beni confiscati in Italia abbiano un valore di circa 30 miliardi di euro. E cosa fa lo Stato con questi beni? Sappiamo che dal primo sequestro di un bene all’assegnazione definitiva a un Comune o a un’Associazione possono passare anche 20 anni. Dalla Sicilia alla Calabria fino in Puglia e ancora in Campania, nel Lazio e in Toscana. Alberghi, ristoranti, cave, raffinerie, supermercati. Che fine fanno le aziende confiscate? Su 1708 imprese passate nelle mani dello Stato, solo 60 risultano pienamente attive. Le imprese sequestrate alle mafie falliscono, quasi tutte. E troppo spesso la frase che ricorre è: “la mafia ci dava lavoro, è arrivato lo Stato e siamo in mezzo alla strada”
Ieri a Presa Diretta, il programma di inchiesta di Rai 3 condotto da Riccardo Iacona, il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Nicola Gratteri (nella foto), tra le tante condivisibilissime cose che ha detto sulla lotta alle mafie e la crisi della giustizia in Italia, ha sollecitato anche la riapertura dei carceri speciali di Pianosa e Asinara per metterci nuovamente i mafiosi, n’dranghetisti e camorristi più pericolosi.
Legambiente gli ha scritto una lettera aperta nella quale sottolinea che «E’ stato importante ieri sera sentirLa parlare a Presa Diretta di lotta alle mafie, vedere i successi dell’azione della sua Procura contro la criminalità organizzata e le operazioni che hanno portato in carcere pericolosi esponenti della ‘ndrangheta. Molte di quelle inchieste, come pure Lei ha sottolineato, avevano al centro reati di violenta aggressione al territorio: basti pensare all’operazione Metropolis che ha portato al sequestro di numerosi villaggi turistici sulla costa jonica calabrese, un’illecita speculazione più volte denunciata dalla nostra associazione. Grazie ancora quindi per quanto sta facendo per il nostro Paese e per la tutela del suo territorio. C’è però una cosa sulla quale ci permetta di dissentire dalle sue affermazioni. E’ quando parla di riapertura delle carceri di Pianosa e Asinara per utilizzarle come luogo di detenzione di mafiosi, camorristi e ‘ndranghetisti più pericolosi».
Il presidente nazionale del Cigno Verde scrive: «Spiace dirlo, dott. Gratteri, ma Lei ripropone il modello delle isole blindate del cui fallimento, gestionale ed economico, il Parlamento Italiano ha preso atto ormai 18 anni fa, trasformando quelle isole in territori di parchi nazionali, così come ha fatto l’Unione Europea. Noi pensiamo che nuovi carceri per i detenuti pericolosi a Pianosa e all’Asinara sarebbero proprio il contrario di quanto ha sostenuto in maniera molto convincente in chiusura del suo intervento, si tradurrebbero cioè in un incredibile spreco di soldi e risorse umane. Riaprire quelle carceri sarebbe molto più costoso e richiederebbe molto più tempo che costruirne di nuovi in continente o utilizzare quelli costruiti eppure mai aperti. Per non parlare dei costi di gestione stratosferici che nel 1996 portarono il Parlamento a optare per la loro chiusura. E’ illusorio anche ritenere che strutture carcerarie sulle isole siano garanzia di maggiore sicurezza, come dimostra l’inutile, costosissimo e fatiscente muro cosiddetto “Dalla Chiesa” che sfregia Pianosa tagliandola a metà».
Il presidente di Legambiente ribadisce quanto la sua associazione va dicendo da tempo in Toscana e Sardegna: «Noi riteniamo ci sia un malinteso senso di risparmio ed efficienza collegato alla presenza di carceri sulle isole, come fosse sufficiente dare un po’ d’aria e una rinfrescata alle pareti per riempirle nuovamente di detenuti a costi contenuti. In realtà attivare strutture del genere significherebbe sostenere costi di ristrutturazione, di gestione e di sorveglianza enormi, ben più alti di quelli necessari per realizzare una struttura ex novo sulla terraferma. Si può discutere se la gestione che lo Stato ha fatto di questi ex penitenziari sia all’altezza degli impegni e delle potenzialità (enormi) delle due isole, ma quello che è certo è che anche le esperienze carcerarie insulari più avanzate e meno “dure” sono in crisi e che il modello di valorizzazione di questi luoghi è quello del turismo sostenibile, a mare ed a terra, e dell’agricoltura di qualità che si sta sperimentando, tra mille difficoltà burocratiche, proprio a Pianosa».
Cogliati Dezza conclude: «Altra cosa sarebbe, come Legambiente ripete da tempo, la presenza nelle due isole di un nucleo di detenuti a bassa pericolosità che serva anche alla loro formazione professionale nel campo del recupero edilizio e dell’agricoltura sostenibile in ambienti semi-aridi mediterranei. Una presenza che potrebbe essere di supporto ad altre attività economiche, turistiche ed educative, e che rappresenti per quelle isole una risorsa per la riabilitazione dei detenuti e per le comunità locali vicine. I Parchi hanno riaperto isole chiuse, non possiamo tornare a blindarle dopo 20 anni».
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