Tornare a crescere. Ma a che velocità? E a quale prezzo? Sono domande che in molti si sono posti alla vigilia del più che probabile annuncio della Banca centrale europea (Bce) di Mario Draghi del programma di acquisto di titoli di Stato (Quantitative Easing), soprattutto in virtù di una massiccia iniezione di liquidità che potrebbe allontanare, o ritardare per meglio dire, l’urgenza di quelle riforme strutturali che conducano le economie periferiche dell’Eurozona a livelli di competitività accettabili.
La preoccupazione (di parte tedesca, in special modo) riguarda, sì, paesi come la Grecia. Ma anche Francia e Italia che hanno spronato molto la Bce in questo senso, nella convinzione che senza una politica monetaria espansiva – sulla scia della Fed statunitense – l’Eurozona è destinata ad un prolungato periodo di stagnazione economica.
Eppure i dati macroeconomici dovrebbero, piuttosto, incentivare un percorso deciso di riforme strutturali. Non che manchino tentativi, ma proprio la lettura di quei dati fa presagire un atteggiamento evidentemente poco incisivo.
Dopo la Banca mondiale è il Fondo monetario internazionale (Fmi) a registrare una brusca frenata dell’economia al punto da sottolineare, non a caso, “l’urgenza” di riforme strutturali. Per l’Italia, in particolare, si evidenzia una crescita debole (0,4% quest’anno) che la posiziona ai margini del G7. È una crescita “lenta”, quella dell’economia italiana, che già a novembre 2014 l’Istat, dopo 13 trimestri consecutivi, aveva dichiarato “ai livelli del 2000”.
Tale condizione ha trainato con sé l’andamento del mercato del lavoro, in peggioramento e inoltre condizionato dal tasso dei posti vacanti pressoché stabile (allo 0,5%) per l’intero arco del 2014.
Sul piano delle riforme, avviate e da attuare, Roma non può tirarsi comunque indietro dopo l’accordo europeo sulla flessibilità che concede al nostro paese un taglio del deficit/pil nel 2015 pari allo 0,25%, cioè poco meno di 4 miliardi di euro, al fine di raggiungere ad ogni modo il rispetto delle regole di bilancio.
L’apprensione, in definitiva, è per l’intera Eurozona il cui Pil (Prodotto interno lordo) crescerà quest’anno dell’1,2% e nel 2016 del 1,4% (ovvero, rispettivamente, -0,2 e -0,3 punti percentuali rispetto alle precedenti previsioni). E anche da qui, in fondo, nascono le perplessità rispetto alla misura che la Bce si appresta ad annunciare.
Nei mesi precedenti, infatti, Francoforte ha preparato il terreno attraverso politiche di riduzione dei tassi di interesse e deprezzamento della moneta unica, quasi ad anticipare una parte degli effetti che il QE potrebbe avere. Ma le azioni fin qui intraprese non si sono tradotte in una ripresa propriamente detta. E i dubbi che il QE in salsa europea riesca a rilanciare l’economia e a scongiurare una deflazione prolungata restano, secondo molti osservatori.
(articolo pubblicato il 21 gennaio 2015 su Tgcom24)
You must be logged in to post a comment Login