Un primo segnale incoraggiante è quello che giunge dal mercato del lavoro. Che non sarà ancora in ripresa, almeno non una ripresa propriamente detta, ma il calo del tasso di disoccupazione osservato già alla fine del 2014 e confermato all’inizio di quest’anno fa comunque ben sperare. E un andamento non troppo negativo del mercato del lavoro, con il rinnovato ottimismo che ne deriva, può aiutare le famiglie “a liberarsi dall’incertezza causata dalla crisi”, rilanciando così la spesa per consumi.
Dal Centro Studi di Confindustria, dunque, giungono spiragli positivi. Le attese, però, fanno comprendere anche come la risalita non sia un processo immediato. Nel primo trimestre di quest’anno la crescita sarà dello 0,2%. Poco, ma pur sempre un’inversione di tendenza. La stima è condizionata da quello che il Centro Studi di Confindustria definisce “l’inciampo” della produzione industriale a gennaio.
Nel primo mese del 2015, infatti, si è verificata una flessione dello 0,7% su dicembre nonostante l’aumento di fine 2014 e il miglioramento dell’indice del clima di fiducia. Per il mese febbraio Confindustria si attende un incremento dello 0,4% su base mensile, ma un rallentamento era stato riscontrato comunque anche nell’Eurozona (-0,1 su dicembre, +1,2 sull’anno).
Ad ogni modo l’indice di fiducia delle imprese dovrebbe migliorare ancora per via delle variazioni positive di produzione e fatturato che si sono registrate nell’ultimo periodo in diversi settori di attività economica. In più sono migliorate le condizioni finanziarie complessive delle imprese e la liquidità “è stata sostenuta dal pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione”, il che ha compensato le difficoltà ad ottenere prestiti bancari.
Ma c’è un aspetto significativo che merita particolare attenzione. In queste settimane si è molto discusso riguardo il contesto favorevole – deprezzamento dell’euro, crollo dei prezzi dell’energia, quantitative easing della Bce – che può aumentare la competitività delle imprese e dunque aggiungere stimoli alla crescita. Ciò è vero per quanto riguarda l’Eurozona nel suo insieme, ma non può assicurare un balzo della posizione competitiva dell’Italia. Anzi, avverte il Centro Studi di Confindustria, “può evidenziarne le lacune se, essendo meglio sfruttato dai sistemi più dinamici, ampliasse il divario di performance con gli altri paesi”. Di qui, in definitiva, l’esigenza di non abbandonare il percorso di riforme.
(articolo pubblicato il 26 marzo 2015 su Tgcom24)
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