Dopo la netta vittoria elettorale nel collegio di Oldham West (hinterland di Manchester), la sinistra moderata inglese cerca di valutare il peso elettorale del nuovo leader laburista, il radicale Jeremy Corbyn. Scetticismo sulla leadership Corbyn rimane. Per molti è comunque un candidato sconfitto in partenza che condanna il paese a un lungo periodo di egemonia Tory. Le sue proposte economiche sembrano ispirate da posizioni ideologiche superate. Infine, il Labour sembra tornare indietro di 40 anni. C’è del vero in tutte e tre le critiche. Ma è sufficiente per bocciare Corbyn?
Un cavallo perdente
Partiamo dalla prima critica. Quelli che vedono Corbyn sconfitto in partenza commettono l’errore di ragionare come se le elezioni politiche fossero domani. Ignorano cioè un fatto banale della realtà politica: in un sistema a due partiti, la probabilità di vincere qualunque elezione che si terrà tra cinque anni da ora è approssimativamente… il 50 per cento! Sembrerà strano a chi si occupa di politica quotidianamente, ma la stragrande maggioranza degli elettori non segue il dibattito politico se non nei mesi precedenti le elezioni. Questo significa anche che i sondaggi attuali lasciano il tempo che trovano. Le possibilità di un Partito laburista guidato da Corbyn di vincere le politiche – ammesso che i parlamentari del suo partito non lo scarichino prima del tempo – dipendono dallo scenario politico che prevarrà nei mesi prima delle elezioni. Dove sarà il Regno Unito nel 2020? In una fase di crescita? O a far fronte ad una nuova crisi economica? Invischiato in un difficile conflitto in Siria? Ossessionato dalla minaccia terroristica? Tra l’altro, proprio l’inattesa elezione di Corbyn al timone del Partito laburista dovrebbe dirci qualcosa sulle nostre capacità di fare pronostici accurati in questo senso.
Come candidato, Corbyn avrebbe degli ovvi vantaggi se nel 2020 si dovesse essere in presenza di un elettorato disilluso. È quello che qui chiamano un conviction politician. È un candidato trasparente con un record impeccabile di coerenza come parlamentare. Non è complicato capire in cosa crede Jeremy Corbyn. Questo significa anche che i tabloid avranno difficoltà a sottoporlo al trattamento che hanno riservato a (Red) Ed Milliband. Accusare Corbyn di essere un bolscevico è un po’ come dare del maiale a Peppa Pig. Non funziona, non fa notizia.
Infine, checché ne dica Tony Blair, lo scopo di un partito politico non è vincere le elezioni. Lo scopo di un partito è di influenzare le politiche del paese. Questo in Italia lo capiamo meglio che altrove. Sebbene il Partito comunista italiano non abbia mai governato, c’è qualcuno che neghi che il Pci abbia avuto una profonda influenza sulla vita politica, economica e sociale dell’Italia del dopoguerra? Chi ha votato Corbyn lo ha fatto per mettere temi come diseguaglianza economica, costi dell’austerity, lotta alla povertà, al centro del dibattito politico. Se Corbyn ci riuscirà, avrà ottenuto più di molti dei suoi predecessori labour. La recente inversione di marcia del ministro delle Finanze George Osborne sui sussidi ai lavoratori a basso reddito suggerisce che i Tory stanno iniziando a prendere nota.
It’s the economy, stupid
Veniamo all’economia. È Corbyn in procinto di trasformare l’economia anglosassone in un’economia pianificata? Non sembra. Il suo team di economisti è formato da gente competente. Certamente alcune delle proposte (vere o presunte) fanno acqua, come l’idea di un quantitative easing “popolare” per finanziare investimenti pubblici. Però ci sono anche proposte sensate. L’idea di una Tobin tax europea sulle transazioni finanziarie è sostenuta da un crescente numbero di economisti accademici. Le proposte di nazionalizzare energia e ferrovie non sono eretiche come pensano molti commentatori. Il problema è che in questi mercati è spesso difficile creare vera concorrenza. La ragione è semplice. Non è pratico avere due treni in partenza per Pisa da Grosseto alla stessa ora. In assenza di concorrenza, l’iniziativa privata perde il suo vantaggio di efficienza. La scelta tra pubblico e privato dipende da quanto sia efficace lo stato nel regolare i monopoli privati. L’evidenza per il Regno Unito non è incoraggiante. È l’unico paese europeo dove il ceto medio non può permettersi di prendere un treno per la capitale.
Un conservatore latente?
Consideriamo l’ultima critica: Corbyn vuole spostare indietro le lancette. In effetti questa sembra la critica più convincente. Da un leader della sinistra “radicale” ci si aspetta più ambizione, una visione più moderna e soprattutto una maggiore propensione alla sperimentazione. Dove sono le proposte di democrazia sul posto di lavoro e di modelli alternativi di corporate governance? Dove sono i dibattiti su decentralizzazione, autogoverno e approcci dal basso? L’istinto di Corbyn sembra spesso essere quello di uno statalista del secolo scorso. La critica dell’Economist (Jeremy Corbyn: un conservatore latente) suona tra tutte come la meno superficiale.
Per concludere, è Corbyn il candidato progressista ideale? Probabilmente no. Però basta sentir parlare Osborne per capire che il paese ha bisogno di una sinistra.
4 dicembre 2015
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