La storia di Luca Paladini e dell’Italia vittima dei leoni da tastiera Ilaria Liberatore (LaPresse•10 maggio 2018)

odio

“Frocio”, “pederasta”, “la pagherai”, “stiamo arrivando”: sono solo alcune delle offese e aggressioni verbali che Luca Paladini, fondatore del movimento per i diritti civili I Sentinelli di Milano, sta subendo da qualche mese. Paladini è solo uno delle migliaia di omosessuali vittime, in Italia, di hate speech, il linguaggio dell’odio veicolato da chi si nasconde dietro lo schermo di un computer e pensa, per via di un presunto anonimato, di essere forte e impunibile. All’interno della comunità LGBT italiana (che conta circa un milione di persone secondo l’Istat, ma è una cifra probabilmente sottostimata) 3 persone su 4 dichiarano di aver subito discriminazioni e pregiudizi. E in un anno più di 35mila tweet violenti sono stati rivolti contro gay, lesbiche, bisessuali e trans: un fenomeno diffuso nel nostro Paese e che riguarda però anche altre categorie, in primo luogo donne e musulmani, ma anche migranti, disabili ed ebrei.

La storia di Luca: “Offeso perché gay, ma avrò giustizia, per tutti”

L’incubo di Paladini è iniziato a febbraio, quando i Sentinelli di Milano hanno denunciato l’esistenza di un macabro fotomontaggio che ritraeva la testa dell’allora presidente della Camera Laura Boldrini tra due lame e un parallelismo con il delitto di Pamela Mastropietro, la 18enne uccisa a Macerata e poi fatta a pezzi. La condivisione sui profili social de I Sentinelli ha permesso alla polizia postale di rintracciare il responsabile del post e da allora Luca Paladini e il suo compagno Luca Caputa hanno cominciato ad essere oggetto di minacce, insulti omofobi, fotomontaggi violenti (come quello che li ritrae in un campo di concentramento, o quello in cui compaiono senza denti) e pagine in cui si arriva ad augurare loro la morte. “Tutto questo accanimento ossessivo influisce negativamente sulla nostra vita – racconta Caputa a LaPresse – . Abbiamo modificato le nostre abitudini e la sera quando rientriamo a casa ci guardiamo attorno con sospetto”. “Non è tanto paura di un’aggressione fisica – aggiunge Paladini – ma di veder soffrire le persone a cui voglio bene, ad esempio mia madre, che è su Facebook e vede tutto ciò che scrivono su di me”. Paladini ha un sospetto: ci sarebbe un solo responsabile che si nasconde dietro diversi profili falsi. Le forze dell’ordine hanno aperto un’indagine. Quando il colpevole (o i colpevoli) sarà individuato “non mi accontenterò che questa persona smetta di minacciarmi – ci spiega Paladini – . Voglio che paghi penalmente, perché si possano fermare tanti altri stalker che attaccano persone magari più fragili di me e che rischiano una fine peggiore”.

L’associazione Vox Diritti ha fotografato la diffusione dell’hate speech in Italia con uno strumento chiamato “Mappa dell’Intolleranza”: tra il 2015 e il 2016 ha monitorato i tweet riguardanti alcuni temi “caldi” (donne, migranti, gay, musulmani, ebrei e disabili), ha individuato quelli offensivi e poi, grazie al software Open StreetMap, li ha geolocalizzati. Il risultato è un’immagine simile alle termografie, dove quanto più il colore si avvicina al rosso tanto più è forte il fenomeno della violenza in rete. Su un totale di 2.659.879 tweet monitorati, la maggior parte riguardava donne e musulmani. Ma su tutti i tweet negativi e violenti (412.716) la stragrande maggioranza, quasi il 70%, riguardava le donne (quasi 285 mila hashtag misogini). I tweet omofobici sono stati invece 35.207 (su un totale di 67.950 riguardanti la comunità LGBT). Le città più omofobe, come mostra la mappa che segue, sono (nell’ordine) Roma, Milano, Napoli e Bologna (curiosamente sono anche le città dove si registrano più unioni civili). Il Nord e Centro Italia risultano più omofobi del Sud. La rete sembra scatenarsi in occasione di particolari fatti di attualità: nel 2016 si sono avuti picchi di tweet d’odio, ad esempio, in seguito alle offese di Sarri contro Mancini durante la partita di Coppa Italia, dopo la partecipazione di Valerio Scanu al Festival di Sanremo con la bandiera arcobaleno e durante la discussione in Senato del ddl Cirinnà sulle unioni civili e la successiva approvazione della legge.

L’odio in rete rispecchia l’omofobia di parte della società italiana

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