Quale è la specifica logica competitiva innescata dalla nuova legge elettorale? Sarebbe un errore, dai pesanti risvolti pratici, interpretare il congegno in via di approvazione come fosse un vero doppio turno. Nulla c’è di più deviante che preparasi alla battaglia avendo in mente una strategia di conquista misurata sui tempi rassicuranti del secondo turno.
Il ballottaggio previsto è solo un corollario, un dettaglio che non definisce la sostanza del meccanismo. Per la soglia assai bassa per aggiudicarsi il premio, la contesa continua ad essere quella che si perpetua ormai dal 2006. E cioè un maggioritario di lista o di coalizione (con una solo apparente base proporzionale) che mette al sicuro chi arriva primo. Tolto il 25-30 per cento dei voti raccolti da forze non coinvolgibili nel gioco bipolare, resta comunque un bacino consistente del 70 per cento dei consensi entro cui si può scatenare la battaglia per intascare subito il cospicuo premio in seggi.
È evidente che la destra giocherà tutte le sue carte per finire la partita al primo turno. Troppo rischioso prolungare la contesa con un altro passaggio agli elettori. E quindi la capacità di tessere delle alleanze plurali in grado di chiudere le offensive diventa cruciale per non soccombere. L’offerta politica che la destra sta confezionando è già intuibile nel suo profilo: un’eterogenea coalizione che agglomera forze culturalmente distanti accomunate solo dalla prospettiva di vincere. La scomposizione dei tentativi terzisti costringe i soggetti moderati e le formazioni ribelli al Cavaliere ad ordinare alle truppe un ripiegamento rapido sotto il suo comando. Quello che Berlusconi perde ogni volta in aula, per via di una leadership minata dal conflitto di interesse e dalle eccessive venature impolitiche, lo riconquista sul terreno della campagna elettorale permanente, in cui eccelle nel raccattare supporter utili alla causa.
Anche adesso che pare un’armata acefala, la destra conferma una grande potenzialità concorrenziale come area stabile cui si aggrappa una fetta consistente di opinione. Che a guidarla sia un signor X ancora da estrarre dal cilindro del marketing (la figlia di Berlusconi o, perché no, Alfano), la destra punta le sue chance affinando il plusvalore coalizionale. Se gli riesce il colpo, Forza Italia con il 20% cento dei suffragi può intascare il 53% dei seggi e non dipendere più dai condizionamenti di alleati sempre capricciosi. È probabile però che il Cavaliere qualcosa dovrà cedere, nella riformulazione delle soglie di sbarramento, perché è arduo impiantare una coalizione di volontari che aspirano solo al suicidio assistito.
A un Berlusconi che assapora inopinati sogni di vittoria, e coltiva ancora il piano proibito di accasarsi al Quirinale prima del diluvio della interdizione perpetua, la sinistra risponde con la riesumazione della vocazione maggioritaria. Il suo calcolo strategico è quello di raccogliere il frutto di un’accentuazione dell’effetto traino della leadership nuova e del suo shopping elettorale a venatura post-ideologica, di lucrare nell’immediato gli esiti del risveglio del voto utile, pronto a riaccendersi al cospetto della drammatizzazione della posta in gioco. Il problema che rischia di complicare i piani è però che elezioni di smottamento, con una mobilità accentuata e con la rottura degli argini sistemici, si sono già celebrate nel 2013. Il prossimo voto potrebbe perciò essere solo un turno di assestamento, con variazioni contenute e con una volatilità di schieramento assai limitata.
Il progetto di sfondare nell’elettorato centrale con una spregiudicata campagna orientata sulla trasversalità della suggestione della persona sola al comando, e non più sulla divisività dei grandi programmi, comporta sempre il rischio di un offuscamento delle ragioni dell’identità, che collegano a un elettorato di appartenenza. Mentre si coltivano le velleità di un’espansione illimitata in ogni spazio politico disponibile, si presenta l’incognita di uno smarrimento di senso nel proprio ambito tradizionale per una carenza di quel riconoscimento simbolico che è sempre alla base della mobilitazione e partecipazione.
Nel sistema politico odierno si notano due distinte aree di frizione. La prima è quella della rappresentanza, che pare a configurazione centrifuga, con forze molto agguerrite e dai toni populisti e antisistema. La seconda zona è a trazione centripeta. E in questa dimensione della governabilità, la distanza ideologica tra un centro destra che ha in Casini, Alfano, Lupi i suoi principali punti di riferimento e un centro sinistra ruotante su Renzi, Letta e Franceschini si accorcia sensibilmente. Nel vuoto di rassicurazione identitaria, già ora si sta insinuando non a caso Grillo, pronto a incursioni corsare per colpire sul fronte sinistro il Pd. In questo senso la vocazione maggioritaria, se declinata come un’offerta politica sbiadita, destinata ad un arco di forze culturalmente troppo omogeneo, lascia incustodito un ampio spazio di sinistra consegnato all’attrattiva del radicalismo della protesta. La cura dell’identità e la politica delle alleanze plurali non possono essere trascurate, se si intende scongiurare il già visto.
Michele Prospero
l’Unità
05 02 2014
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