Onorevole Cuperlo, sulle riforme costituzionali siamo davanti a una forzatura da parte di Pd e governo o c’è una sana battaglia contro il fronte della palude e della conservazione?
«Le rispondo ma c’è una priorità che viene prima ed è Gaza. Ci sono 1000 morti palestinesi e 36 vittime israeliane. Una tregua di poche ore non basta. Gli sforzi per un cessate il fuoco stabile sono un imperativo morale. L’Europa esca dall’immobilismo, si attivi con le altre istituzioni internazionali e assuma un’iniziativa politica e umanitaria. La proposta di una forza di interposizione schierata sul terreno sul modello del Libano va nella direzione giusta. Se il tempo e le energie dedicate da Bruxelles alle caselle della nuova commissione si fossero concentrati su questa tragedia, forse l’Europa una voce l’avrebbe trovata».
Crede che questo tema non sia adeguatamente in cima alle priorità del Pd?
«In generale colpisce la timidezza nella reazione di questi giorni. Mi ostino a credere nel bisogno di azioni di solidarietà verso le popolazioni e le strutture colpite, anche supportando l’azione di Ong che operano in quel teatro di guerra. Nei giorni scorsi ho fatto un appello al vicesegretario Guerini, che è stato accolto: è giusto che il Pd, prima forza del socialismo europeo, si mobiliti in un’azione politica e di solidarietà a difesa dei diritti umani e del dialogo. Promuoviamo aiuti umanitari, appelli, presidi, fiaccolate, nella linea di ieri e di sempre: due popoli e due Stati».
La sua critica all’Europa si estende anche al governo italiano?
«È l’afonia dell’Europa che impressiona, la sua crisi sta nella rinuncia a svolgere la funzione di soggetto politico globale. L’Italia deve avere un suo ruolo come fece il governo Prodi in Libano nel 2006. Allora si riuscì a raggiungere un risultato che oggi tutti riconoscono. La ministra Mogherini si è mossa bene, adesso bisogna fare di più».
Sulle riforme in Italia c’è una situazione di muro contro muro tra maggioranza e opposizioni.
«Bisogna uscire da una logica sbagliata, in cui qualunque richiesta di modifica è liquidata come conservazione o sabotaggio. Se metti le mani sulla Costituzione il minimo è cercare una sintesi convincente, a partire dal Pd. La premessa è che le riforme vanno fatte e presto. Non perché servono a qualcuno, ma perché sono l’assicurazione sulla tenuta della nostra democrazia e del patto tra cittadini e istituzioni. Per questo l’ostruzionismo è un errore e sul punto il presidente Grasso si è mosso nel rispetto delle regole».
Dunque lei chiede al governo un’apertura ulteriore al dialogo?
«Proprio perché il traguardo è vicino e va raggiunto, il governo dovrebbe assumere un’iniziativa politica su due fronti: da un lato verificare un accordo ampio sul modello francese, con una platea più larga di grandi elettori. Avremmo un Senato non eletto direttamente, ma con una fonte di legittimazione più solida. L’altra scelta riguarda l’Italicum: bisogna dire con chiarezza che vanno abbassate le soglie per l’accesso al Parlamento, e alzata quella per evitare il ballottaggio. E vanno superate le liste bloccate, per una ragione di fondo: non si può immaginare a regime un modello con un Senato non elettivo e una Camera con i deputati nominati».
Quelle che lei propone non sono modifiche da poco…
«Sarebbe una sconfitta se si arrivasse al traguardo sottraendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti. Collegi uninominali? Doppia preferenza di genere? Primarie obbligatorie e regolate per legge? Le soluzioni ci sono, basta volerle».
Crede che i rapporti tra Pd e Sel si siano incrinati in modo irreparabile, anche a livello locale?
«No. Le alleanze locali devono restare, non c’è nessun automatismo. Dobbiamo tenere aperto il fronte con Sel e altri interlocutori. Questo è lo spirito dell’iniziativa che abbiamo lanciato nelle scorse settimane a Milano e che sta raccogliendo adesioni e consensi: una “SinistraDem” che abbiamo chiamato “Campo aperto”, per ricostruire un fronte largo della sinistra aiutando a consolidare il 41% delle europee».
Senza modifiche l’Italicum non passerebbe?
«Cambiare quella legge è anche nell’interesse del governo. Altrimenti verrebbe a mancare uno dei requisiti della Consulta: la conoscibilità di una parte almeno degli eletti».
l’Unità
Andrea Carugati
27 luglio
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