Una sola riga, a piena pagina: “I populisti al governo”: così la copertina di Repubblica immortala – con tanto di trittico dove sono raffigurati Di Maio, Conte e Salvini – il nuovo governo che, come si legge nel richiamo dell’articolo a pagina 36 di Claudio Tito, proprio nuovo non è: “Il governo gialloverde nasce vecchio. Logorato da un balletto inverecondo e con novità sbiadite. I dicasteri chiave sono in mano a uomini del passato. Da Moavero, ex ministro di Monti, a Tria, che ha scritto il programma di Forza Italia di qualche anno fa”. E ancora: “Su questa compagine, dunque, gravano già diversi macigni. Compresa la natura dichiaratamente di destra. È il risultato del gioco di veti incrociati, ripicche, bassa lotta per il potere e per le poltrone durato tre mesi. Solo domenica scorsa Giuseppe Conte ha rinunciato al suo primo incarico. Cosa è stato fatto che non si potesse fare cinque giorni fa? Paolo Savona è stato dirottato dal ministero dell’Economia agli Affari europei. Il Quirinale già si era dichiarato disponibile a nominarlo con una delega diversa. Perché si è dovuto aspettare? Perché si sono dovute esporre le istituzioni, il Paese e i nostri conti pubblici a una continua fibrillazione? L’M5S ha addirittura minacciato l’impeachment nei confronti di Mattarella. Lo stesso Savona, probabilmente dimentico delle responsabilità che gli derivano dai tanti incarichi ricoperti in passato, ha ingaggiato uno sgangherato duello verbale con il Colle. Un inutile psicodramma. La motivazione di tutto è purtroppo semplice: la paura di perdere l’occasione e il potere”.
Alla fine, Di Maio e Salvini
Come si è risolta questa lunga, caotica crisi, lo raccontano sulla Stampa, a pagina 4, Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo: “La mossa di Luigi Di Maio ha riportato improvvisamente le lancette indietro, al governo politico giallo-verde presieduto da Giuseppe Conte. Come se nulla fosse successo, l’anonimo professore si è ripresentato alle telecamere quattro giorni dopo, semplicemente con una cravatta diversa. Dopo i fulmini di rabbia, la richiesta di impeachment, il grido «al voto al voto», mercoledì il leader M5S Luigi Di Maio a sorpresa ha proposto di spostare Paolo Savona a un altro dicastero per superare l’impedimento posto dal Capo dello Stato”.
Una partita difficile, quella che ieri si è giocata tra Di Maio e Salvini, una partita, scrive Marcello Sorgi sulla Stampa, “Che ha avuto in Salvini, entrato in campo come junior partner di un Movimento 5 Stelle premiato nelle urne con quasi il doppio dei voti raccolti dalla Lega, un indiscusso vincitore. Con i suoi stop and go, con la disinvoltura con cui s’è mosso più nelle piazze dei comizi e in quelle 2.0 della rete, che non nei corridoi parlamentari e nei saloni del Quirinale, il leader del Carroccio ha trovato il modo di sganciarsi dal centrodestra restandone tuttavia leader, e a sommare utilmente la sua mezza vittoria con l’altra mezza di Di Maio. Il quale ha, sì, portato al governo il suo Movimento, ma ha dovuto rinunciare alla premiership per cui si era candidato, aprendo la strada a un tecnico, il professor Conte, come quelli a cui aveva giurato che mai e poi mai avrebbe ceduto la poltrona di Palazzo Chigi”.
5 Stelle, da “setta” a movimento di massa
Rinunce, contraddizioni, passi falsi, errori: alla fine, però, i grillini sono al governo, ed è interessante l’analisi che ne fa Alessandro Campi sul Messaggero: “Comunque la si pensi è un traguardo politico straordinario per un partito nato da un azzardo visionario (la democrazia elettronica, da costruire sulle rovine dei partiti e delle tradizionali forme di rappresentanza politica, vagheggiata da Gianroberto Casaleggio) e dal carisma di un comico dai toni apocalittici (divenuto il catalizzatore prima nelle piazze e poi nelle urne di milioni italiani uniti dalla rabbia sociale e da un irrefrenabile desiderio di novità a qualunque costo). Sarà, quello dei grillini a Palazzo Chigi e nei ministeri, un esperimento da seguire con attenzione, come anche saranno da valutare bene certe loro repentine trasformazioni e certe loro perduranti contraddizioni. Un gruppo bollato come “setta esoterica” divenuto un partito di massa. I nemici giurati dell’establishment che si apprestano a gestire il potere indossando la grisaglia e avendo imbarcato pezzi importanti di quella nomenclatura che tanto disprezzavano a parole. I fautori della democrazia diretta che guidano il Parlamento. I fanatici della trasparenza che stentano a praticarla al loro interno. Il rispetto, visti i consensi che hanno ottenuto nel Paese, è doveroso. Il sospetto intellettuale, soprattutto ora che sono forza di governo, altrettanto lecito”.
Lotta di classe in casa Grillo
Sullo stesso tema, l’analisi di Alessandro Trocino sul Corriere della Sera, in cui emerge un Movimento diviso: “C’è mancato poco che la truppa si ammutinasse, ma intanto la nave è arrivata in porto e ora il comandante Luigi Di Maio può tirare un sospiro di sollievo. Non più «Calimero», come si è autodefinito solo mercoledì sera ma condottiero insieme al «Capitano» leghista. Ora comincia una nuova epoca e una nuova partita, perché il Movimento 5 Stelle dovrà cambiare pelle nuovamente. Sarà partito di governo, non più di lotta, con una parte della sua classe dirigente direttamente coinvolta nell’esecutivo. (…) Di Maio resterà il capo politico del Movimento, ma molto dovrà cambiare. (…) perché la truppa scalpita. Ne è stato un esempio l’assemblea degli autoconvocati al Senato, una vera adunata sediziosa con tanto di grida e pianti. Ma anche la seduta congiunta di mercoledì sera. (…) In questi giorni i malumori dei nuovi arrivati, ma anche di molti «senatori», sono stati consistenti. Perché qualcosa si è rotto nella filiera della comunicazione interna dei 5 Stelle. Pochissimi erano i dirigenti inseriti nelle trattative e a conoscenza dello stato delle cose. E nessuna comunicazione ufficiale arrivava via chat o in via informale ai parlamentari. Una situazione di incertezza decisamente sgradevole, come hanno detto in molti all’assemblea: «Non siamo yes man, dobbiamo contare anche noi. E ci dovete raccontare cosa succede»”.
Conte, premier “a sua insaputa”
Su Conte che entra a Palazzo Chigi e Cottarelli – a onor del vero mai veramente entrato- che esce, i giudizi, le analisi, i confronti si sprecano. Su Conte, impietoso Il Giornale con Giuseppe Marino che, nell’articolo intitolato “Il professore a chiamata non tocca palla sui ministeri”, scrive: “«Avrò una squadra di ministri giovani e dinamici, appena mi mandano la lista vi dico i nomi». La battuta impietosa che girava nei giorni del primo incarico a Giuseppe Conte ieri si è improvvisamente tramutata in una impietosa realtà. Il prof avv trattato come una colf a ore, un premier interinale convocato, licenziato su due piedi e poi riconvocato in fretta e furia appena conclusa la trattativa più pazza del mondo, composizione della lista dei ministri inclusa. (…) Il professore (…) si trova a capo di un governo cucito a sua insaputa, programma incluso. Ha sempre detto di aver partecipato alla stesura del famoso «contratto di governo» ed è pur possibile che nel documento sia transitato qualche suo contributo, ma al tavolo delle trattative tra Lega e M5s non c’era. E il suo nome era spuntato solo nel finale, per sedare la lite sulle poltrone”.
Cottarelli, civil servant
“Cottarelli si congeda tra gli applausi” è il titolo del Giornale a pagina 5, e “La lezione di stile dell’uomo di Stato” quello della Stampa, che a pagina 11, a proposito del ruolo di Carlo Cottarelli, incaricato da Mattarella e responsabilmente fattosi da parte di fronte al governo politico di Lega e 5 Stelle, scrive: “Complimenti bipartisan. Alla fine, non è solo il presidente della Repubblica, subito dopo averlo congedato, a fargli arrivare tramite il suo portavoce un sentito ringraziamento «per il senso delle istituzioni, la serietà e la costante attenzione all’interesse nazionale». Dal premier uscente Paolo Gentiloni («Una lezione di stile istituzionale») alla forzista Stefania Prestigiacomo («Cottarelli ne esce da gran signore») all’ideatore dell’Ulivo Arturo Parisi («Cottarelli è l’unico vincitore, finché ci sono persone come lui c’è speranza»), è un coro bipartisan di chi gli riconosce stile e senso delle istituzioni”.
Al coro di lodi, si aggiunge il commento di Mario Ajello sul Messaggero: “Ha parlato con i presidenti delle Camere, ha mediato con i leader, ha stabilito con il Colle una interlocuzione fattiva, senza mai dire «io», senza minimamente puntare alla poltrona. E così Cottarelli ha aiutato la conclusione razionale di un percorso irrazionale. Ha rappresentato un segno cartesiano nel peggior bizantinismo”.
Mattarella, “capacità di ascolto e tenuta”
Sul ruolo di Mattarella, Massimo Franco così si esprime sul Corriere della Sera: “alla fine, un capo dello Stato della «Prima Repubblica» come Sergio Mattarella, minacciato in modo greve e gratuito, ha dimostrato capacità di ascolto e tenuta: al punto che i suoi detrattori lo hanno accusato di cedevolezza ai «quasi vincitori». Non poteva fare altro, in realtà. Il presidente della Repubblica ha capito prima e più di altri, forse più degli stessi Di Maio, capo del M5S, e del leghista Salvini, che andava aperta un’altra fase. Non, però, col trauma di elezioni anticipate, osservate con golosità da un Salvini in ascesa. E nemmeno con soluzioni ministeriali provocatorie che potevano mette- re a rischio l’appartenenza dell’Italia all’euro e alla Ue. Su questi punti, Mattarella è stato fermo, fino a sfiorare un altro scioglimento. Alla fine, la rabbia miope dei suoi interlocutori si è dovuta piegare alla realtà: seppure in modo ambiguo”.
Pd in piazza: “Il governo ha un programma pericoloso per il Paese”
Con Forza Italia indebolita all’opposizione (“Berlusconi prepara l’opposizione. «Riporterò Forza Italia al 20%»” titola a pagina 13 il Corriere della Sera) e Fratelli d’Italia che prova ad entrare nel governo senza riuscirci (Il veto M5S blocca Meloni. Salvini: “Giorgia, mi dispiace”, è il titolo di pagina 10 della Stampa), il governo giallo-verde ha nel Pd l’unico vero oppositore.
Confermata la manifestazione dei dem oggi a Roma. Per Martina, scrive Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera, “la manifestazione può rappresentare la risposta del Pd alla nascita del nuovo governo, che «ha un programma pericoloso per il Paese. Perciò lavoreremo da subito dall’opposizione per costruire l’alternativa forte e popolare di cui il Paese ha bisogno». Per questa ragione ha voluto all’iniziativa, che non a caso si svolgerà in uno dei luoghi storici dell’Ulivo, piazza santi Apostoli, tutti i big del Pd. A cominciare da Veltroni. E ci saranno anche Calenda, Franceschini e Orlando. Il sogno di Martina è riuscire a ottenere anche la partecipazione di Gentiloni, il quale non ha ancora deciso definitivamente se andare o meno. L’idea è quella di presentare un partito compatto nella battaglia contro i giallo-verdi”.
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