Questo articolo e quelli che lo seguiranno affrontano la situazione sociale e politica mondiale guardando alle ripercussioni sull’Europa e sull’Italia.
Si tratta di affermazioni che non sostengo con dati o riferimenti a documenti e studi, ma sono il frutto di letture ed osservazioni che ho fatto durante tutta la mia vita. E’ una interpretazione e non una analisi. Molte di queste affermazioni possono essere contraddette con artifici retorici ma, se approfondite, possono essere confermate con dati di fatto e con studi compiuti da esperti di politica, scienze sociali, economia ecc.
Ho deciso di seguire una linea di ragionamento che parte dal quadro internazionale e via via scende con più dettaglio alla situazione europea e quindi italiana. Quindi ci sono risvolti che hanno a che fare con le scelte che ci aspettano a breve con il turno di ballottaggio per la scelta dei Sindaci di alcune grandi città e, più avanti, con il referendum confermativo delle modifiche alla Costituzione.
Ci sono anche giudizi su posizioni politiche della sinistra che non condivido, e cercherò di dare un fondamento a tali giudizi.
Tra quanto scrivo e le analisi di Gianroberto Casaleggio, spesso considerato un guru nella capacità d’interpretazione delle trasformazioni indotte dalla rete, c’è una differenza.
In primo luogo non attribuisco l’intero potere delle trasformazioni future alla rete ma lo estendo all’intero campo delle tecnologie, incluse quelle biologiche.
In secondo luogo Casaleggio dà una soluzione più che compiere una analisi, viceversa ritengo essenziale esporre la mia interpretazione per capire le tendenze oggettive. Altrimenti le soluzioni proposte finiscono per avere un valore puramente velleitario e volontaristico.
Le mie considerazioni si suddividono in quattro parti: la situazione internazionale, quella europea, quella italiana e infine alcune considerazioni sulla politica futura. Questo primo intervento analizza il contesto internazionale.
Nuovi media e diffusione dell’informazione
Lo sviluppo della globalizzazione sul piano della comunicazione ha prodotto una presa di coscienza da parte di enormi masse di persone che vivono in comunità degradate, in paesi non sviluppati.
Queste persone desiderano agire per una redistribuzione del benessere a proprio favore e lo fanno attraverso flussi migratori sempre più vasti e sempre più strutturali, solo parzialmente legati a situazioni di crisi e di guerra, ma molto strettamente legati alle condizioni di sottosviluppo locale.
A questo processo in atto si oppongono forze politiche e governi che creano ostacoli di ogni tipo al movimento delle persone, o alzando barriere in entrata o creando barriere in uscita.
Altri governi si oppongono cercando di impedire l’accesso ai mezzi di comunicazione, che tuttavia sono più potenti. Entrambi gli atteggiamenti si riveleranno fallimentari sul medio periodo.
Redistribuzione, e migrazione
In un mondo con risorse finite, immaginare che questa redistribuzione possa avvenire senza modificare le condizioni di benessere per chi ne gode è illusorio.
Allo stesso tempo, tuttavia, se questa ridistribuzione di benessere si attua accogliendo la migrazione come un’opportunità, nonostante le risorse finite, la perdita di quelli che gli esclusi vedono come benefici potrà essere gestibile.
Globalizzazione finanziaria e tecnologica
L’affermazione, in parte ottimista, sulla gestibilità del processo si scontra con un secondo aspetto della globalizzazione: quello economico (trascuro per il momento quello culturale che mergerà comunque nelle considerazioni successive).
Sul terreno economico ci troviamo di fronte a due fenomeni:
il rafforzamento, al momento vincente, del capitale finanziario nel determinare sia le geo-politiche, sia le politiche locali. Un esempio tra tutti è la politica europea e delle centrali finanziare pubbliche (FMI e Banca Europea) nei confronti della Grecia.
Il secondo fenomeno è assai più grave per le conseguenze globali e assai meno considerato. Si tratta dell’accelerazione dello sviluppo della tecnica permesso dalla diffusione dell’informatica, della robotica e dell’intelligenza artificiale. Alcuni studiosi individuano l’approssimarsi di una singolarità. Mi riferisco a quanto sostiengono Ray Kurzweil (La singolarità è Vicina, Apogeo) e Stefano Quintarelli (Costruire il domani, Il Sole 24 Ore).
La singolarità si caratterizza tramite una accelerazione così rapida da modificare interamente l’ambiente in cui si svolge. Secondo gli studi che ho citato, quando la singolarità si manifesterà, le conseguenze principali avranno un impatto devastante sul lavoro, progressivamente sostituito da macchine e algoritmi.
In questo processo si sono già coagulate imprese dominanti con forme di monopolio ed oligopolio, dotate di mezzi finanziari colossali e di capacità di influenza culturale illimitata.
Trasformazione del lavoro e delle classi sociali
Già oggi assistiamo a forme di trasformazione del lavoro molto profonde, al punto che la classe operaia del novecento sta scomparendo come classe, ridotta all’aggregazione di operai e impiegati soggetti a frequenti frammentazioni e scomposizioni.
La riduzione degli impieghi a tempo indeterminato, la moltiplicazione delle forme di lavoro precario e a distanza ne sono il segno. La disaggregazione della classe operaia si estende alla piccola e media borghesia professionale e intellettuale: quadri aziendali, dirigenti di basso livello, insegnanti e professori universitari, medici ospedalieri hanno visto sia l’erosione degli stupendi sia la riduzione di status sociale.
Questa scomparsa-attenuazione delle classi produce evanescenza dei partiti politici che non riescono più ad aggregare consenso attorno a temi di classe o di categoria ma solo attorno al tema della paura: paura del futuro, paura del diverso. Questi fenomeni sono comuni agli USA e a tutta Europa, non della sola realtà italiana.
Un possibile scenario del futuro del lavoro e delle classi
Voglio provare a ipotizzare un possibile futuro scenario di come si configureranno il mondo del lavoro e delle classi sociali dopo il dispiegarsi degli effetti della singolarità.
La tecnica proseguirà nel suo sviluppo per una sua intrinseca natura e per far ciò la categoria degli scienziati e dei tecnologi (ingegneri, informatici, biologi) assumeranno un ruolo e un prestigio sociale maggiore. La spinta della tecnologia continuerà ad agire chiedendo sempre più anche alle scienze di base (fisica, chimica, matematica), quindi gli studi sulla natura della materia e sul cosmo continueranno, anche per la sete di materie prime promessa dalla coltivazione dei pianeti e pianetini vicini.
Tuttavia questo non riguarderà la totalità dei paesi del mondo ma si concentrerà in regioni che già oggi manifestano la capacità di attrarre intelligenze e finanze. Potremmo immaginare centri di ricerca e università come cattedrali e conventi di un neo-medioevo, in cui è coltivato il sapere.
I mezzi di produzione finanziari resteranno nelle mani di una sorta di casta di alti dirigenti e grandi capitalisti. La conoscenza sreserà nelle mani delle caste accademico scientifiche, ma non in tutte: quelle che saranno a fianco dei centri di alta tencologia. Per quanto riguarda le classi medie, proletarie e sottoproletarie potremmo assistere, in uno scenario pessimistico, da una parte a una loro radicalizzazione attuata con forme di luddismo e perfino di terrorismo e dall’altra a una loro emarginazione in ruoli sostanzialmente di servitù.
E’ uno scenario molto pessimistico, ma ritengo utile considerarlo proprio per indagare con la dovuta attenzione quali possano essere le azioni da intraprendere per evitarlo.
La consapevolezza dei Governi e delle Forze Politiche
Le forze politiche e i governi dei paesi sviluppati stanno accorgendosi solo limitatamente dei processi in atto.
Alcuni segni sono emersi riguardo al problema delle tassazioni degli utili delle multinazionali; infatti le regole attuali rendono ormai insostenibile il mantenimento dello stato sociale a fronte della limitatezza della raccolta impositiva.
Tuttavia la comprensione dell’approssimarsi della singolarità e dei suoi effetti è quasi del tutto assente. Tuttora le politiche dei governi più attenti ai bisogni sociali si concentrano su ricette inapplicabili o comunque insufficienti: incentivi alle assunzioni, agevolazioni finanziarie alle imprese, sostegni al reddito.
E’ indubbio che quando la produzione di beni e servizi sarà attuata da macchine e algoritmi la produttività potrà crescere a tassi incredibili, ma la redistribuzione del reddito prodotto e il mantenimento del benessere dovranno avvenire con modi che non riusciamo neanche ad immaginare.
Non penso ai redditi di cittadinanza, che possono essere un tampone a breve. Penso soprattutto al cambiamento culturale che la scomparsa del lavoro può produrre sugli individui. Siamo ancora legati a una cultura che vede nel lavoro la realizzazione dell’individualità. Certo possiamo immaginare un mondo che permette l’espressione della creatività (dalle arti all’artigianato) ma nessuna società è ancora pronta a questo.
Equilibri geopolitici
Lo sviluppo potente della Cina e il rilancio di una politica imperiale della Russia hanno sposta il baricentro mondiale.
Di questo è stato ben consapevole Obama, che durante il secondo mandato ha spostato gran parte della sua attenzione verso lo scacchiere del Pacifico da quello Atlantico e del Mediterraneo.
Questo non significa che questi due scacchieri siano ininfluenti, al contrario soprattutto il Mediterraneo e il Golfo Persico sono diventati focolai dei conflitti bellici più violenti, mentre sullo scacchiere del Pacifico (a parte la Corea del Nord) il confronto è prevalentemente economico e le rivendicazioni territoriali restano al momento confinate a dichiarazioni verbali.
All’inizio, lo sviluppo della Cina ha avuto un effetto devastante nel contribuire alla crisi del lavoro in Europa. Ora questo effetto si sta attenuando, anche se restano conseguenze sulla delocalizzazione che si è svolta negli ultimi dieci anni verso i paesi dell’Europa orientale e sull’outsourcing di produzioni, anche di alta qualità, verso le cosiddette Tigri Asiatiche.
Riguardo a ciò ci si aspettava principalmente una riduzione dei livelli di reddito delle classi lavoratrici europee (si ricordi la polemica dell’idraulico polacco in Francia) ma quel che è avvenuto principalmente è stata la riduzione numerica dei lavoratori.
Tornando ai conflitti bellici nell’area del Mediterraneo e del Golfo Persico essi continueranno ancora a lungo a produrre i loro effetti di instabilità sociale non solo sulla migrazione, ma anche sul piano del terrorismo.
Voglio sottolineare l’importante azione svolta da Obama nei confronti dell’Iran per disinnescare la mina delle armi nucleari. Ciò sta permettendo all’Iran di assumere un ruolo di potenza locale e comunque di ridurre i rischi di aggressione preventiva da parte di Israele che pone la proprio sicurezza (giustamente) al centro della propria azione internazionale.
Tendo a guardare con ottimismo a questa prospettiva anche perché l’Iran può configurarsi come forza di ostacolo all’Arabia Saudita che sta, invece, continuando a sostenere le forze islamiche più integraliste.
Resta da capire il ruolo della Turchia che ha avviato una politica di grande potenza con azioni ambigue di apparente lotta al terrorismo e di contemporaneo sostegno occulto di alcuni gruppi. Questa presenza sullo scacchiere rende ancor più difficile ed incerta la possibilità di capire l’evoluzione del quadro.
Africa e Medio Oriente
Un discorso a parte merita l’Africa. Gli stati che si affacciano sul Mediterraneo soffrono di una condizione particolare dovuta a conflitti interreligiosi.
In qualche misura in Marocco questo fenomeno è ancora limitato. In Algeria, negli anni 90, è stato necessario attraversare una stagione di terrorismo interno di grande violenza, sconfitto con altrettanta violenza dalle forze governative.
L’Algeria è tuttora uno stato in cui il controllo militare antiterrorismo ha una presenza totalizzante. Per Marocco e Algeria, tuttavia, lo sviluppo economico è stato lento ma costante e in un quadro di collaborazioni internazionali pur appena sufficiente.
Le primavere arabe hanno colpito Tunisia, Libia ed Egitto in forme diverse. Con risultati democratici, in un processo che è comunque da difendere con continuità, con la frantumazione della Libia e con l’instaurarsi di una dittatura in Egitto. Qui crisi culturale, conflitti militari e sottosviluppo si intrecciano in un quadro di enorme difficoltà.
Le collaborazioni internazionali con Marocco, Algeria e Tunisia devono necessariamente rafforzarsi per garantire stabilità almeno a questi paesi.
Per quanto riguarda il Vicino Oriente, siamo di fronte a una delle eredità più intricate che ci ha lasciato la fine degli imperi, in particolare di Francia e Gran Bretagna. E’ forse questo il crogiolo che, più di altri, espande la sua influenza sui conflitti e sulle migrazioni. Non si vedono soluzioni ragionevoli nel giro di una o forse due generazioni, parlo quindi di un periodo dell’ordine di quaranta anni.
In sintesi la situazione internazionale di crisi e conflitti interagirà con i processi finanziari e tecnologici che ho indicato in precedenza. E’ ipotizzabile che tali instabilità contribuiranno a mantenere alti i flussi migratori creando le condizioni di una crescita dell’esercito di riserva del lavoro proprio per quei lavori di minore qualità che sopravviveranno. Su possibili evoluzioni ho già accennato al ruolo dell’Iran.
Per quanto riguarda l’Africa sub sahariana assistiamo a una situazione contraddittoria. Da un lato restano e, in qualche caso, si espandono focolai di conflitti inter-religiosi e terroristici, dall’altro in alcuni paesi emerge una classe dirigente in grado di rafforzare lo sviluppo.
Indicatori macroeconomici mostrano che una parte dell’Africa sta crescendo a tassi cinesi. Una considerazione particolare riguarda l’impatto che può avere l’attuarsi della singolarità in paesi come quelli africani.
Come esempio consideriamo le nuove tecniche di produzione basate sulla stampa 3d e sui possibili futuri sviluppi. Il bassissimo costo di queste attrezzature e tecnologie permetterebbe nel contesto africano di saltare una fase di sviluppo che hanno vissuto i paesi sviluppati: quella della industrializzazione mediante l’accumulo di capitale.
Queste tecnologie permettono di sviluppare prodotti di carattere artigianale con investimenti bassissimi impostare e progettare sempre con costi bassissimi nuovi prodotti di carattere industriale. Sottolineo che il nodo è nella ridotta necessità dell’accumulazione primitiva di capitale.
Daniele Marini
Daniele Marini scrive:
12 giugno 2016 alle 11:46
Risposta a Ennio Abate.
Sul punto 1 ciò che affermi non è del tutto vero. Benché avviata per iniziativa militare USA Internet ha avuto e sta avendo un suo autonomo processo di sviluppo che si colloca a fianco dei rapporti politico-economici.Questo vale ad esempio nello sviluppo dell APP per tablet e smartphone, soprattutto sulla piattaforma Android (gli sviluppi sulla piattaforma Apple sono più controllati). Lo sviluppo del software open-source avviene nell’ambito di istituzioni Universitarie dalle quali esce e procede con propria autonomia anche in conflitto con i poteri economico-politici. Lo sviluppo delle tecnologie di produzione a basso costo (es. stampa 3d) sono frutto dell’opensource esteso al progetto di hardware. Una incredibile molteplicità di soggetti e micro aziende ha reso possibile una diffusione incredibile di questi strumenti che vanno a minacciare processi produttivi tradizionali, in modo per ora del tutto imprevedibile.
Sul punto 2. La mia convinzione che la strutturazione in classi delle popolazioni sia in crisi rende improbabile il formarsi di una coscienza rivoluzionaria. SI possono immaginare ribellioni spontanee, ma indirizzarel in un progetto rivoluzionario richede una “classe di rivoluozionari” che non vedo all’orizzonte. Una prova ne è il movimento 5 Stelle.
Sul punto 3 In realtà assistiamo a un aumento considerevole di attività di tipo creativo (musica, arti teatrali, …) e anche di creatività artigianale, proprio per l’aumento complessivo di produttività che permette di distogliere lavoro dalle attività di sussistenza e di produzione. Anche il lavoro agricolo si sta modificando con il rientro di giovni colti e motivati sul piano ambientale. Naturalmente questo vale in settori molto limitati e quasi solamente nei paesi sviluppati. Il mio discorso non formula una previsione ma pone una questione cui cercare una risposta.
Sul punto 4 Quello su cui non sono stato in grado di offrire una interpretazione è il Sud America di cui ho una conoscenza del tutto insufficiente. Sul resto se ne parla in parte in seguito.
Daniele Marini scrive:
12 giugno 2016 alle 09:21
Risposta al commento di Cristiana Fischer. Mi sono forse espresso male ma ilmio scenario negativo è coerente con quanto affermi. Se non governata la crisi della singolarità potrebbe portare a uno scenario di neo medioevo. Se non si instaura un processo di sviluppo sostenibile in Africa e in altri paese non sviluppati la pressione delle migrazioni sul mondo svilluppato non sarà molto dissimile da quel che è accaduto al mondo Romano e che ne ha fatto crollare l’impero.
Ennio Abate scrive:
11 giugno 2016 alle 21:00
Mi sono segnato questi passaggi del discorso di Daniele Marini:
La tecnica proseguirà nel suo sviluppo per una sua intrinseca natura e per far ciò la categoria degli scienziati e dei tecnologi (ingegneri, informatici, biologi) assumeranno un ruolo e un prestigio sociale maggiore. La spinta della tecnologia continuerà ad agire chiedendo sempre più anche alle scienze di base (fisica, chimica, matematica), quindi gli studi sulla natura della materia e sul cosmo continueranno, anche per la sete di materie prime promessa dalla coltivazione dei pianeti e pianetini vicini.
Tuttavia questo non riguarderà la totalità dei paesi del mondo ma si concentrerà in regioni che già oggi manifestano la capacità di attrarre intelligenze e finanze. Potremmo immaginare centri di ricerca e università come cattedrali e conventi di un neo-medioevo, in cui è coltivato il sapere.
I mezzi di produzione finanziari resteranno nelle mani di una sorta di casta di alti dirigenti e grandi capitalisti. La conoscenza resterà nelle mani delle caste accademico scientifiche, ma non in tutte: quelle che saranno a fianco dei centri di alta tecnologia. Per quanto riguarda le classi medie, proletarie e sottoproletarie potremmo assistere, in uno scenario pessimistico, da una parte a una loro radicalizzazione attuata con forme di luddismo e perfino di terrorismo e dall’altra a una loro emarginazione in ruoli sostanzialmente di servitù.
[…]
Non penso ai redditi di cittadinanza, che possono essere un tampone a breve. Penso soprattutto al cambiamento culturale che la scomparsa del lavoro può produrre sugli individui. Siamo ancora legati a una cultura che vede nel lavoro la realizzazione dell’individualità. Certo possiamo immaginare un mondo che permette l’espressione della creatività (dalle arti all’artigianato) ma nessuna società è ancora pronta a questo.
[…]
Lo sviluppo potente della Cina e il rilancio di una politica imperiale della Russia hanno sposta il baricentro mondiale.
[…]
Voglio sottolineare l’importante azione svolta da Obama nei confronti dell’Iran per disinnescare la mina delle armi nucleari. Ciò sta permettendo all’Iran di assumere un ruolo di potenza locale e comunque di ridurre i rischi di aggressione preventiva da parte di Israele che pone la proprio sicurezza (giustamente) al centro della propria azione internazionale.
Tendo a guardare con ottimismo a questa prospettiva anche perché l’Iran può configurarsi come forza di ostacolo all’Arabia Saudita che sta, invece, continuando a sostenere le forze islamiche più integraliste.
Resta da capire il ruolo della Turchia che ha avviato una politica di grande potenza con azioni ambigue di apparente lotta al terrorismo e di contemporaneo sostegno occulto di alcuni gruppi. Questa presenza sullo scacchiere rende ancor più difficile ed incerta la possibilità di capire l’evoluzione del quadro.
[…]
Le primavere arabe hanno colpito Tunisia, Libia ed Egitto in forme diverse. Con risultati democratici, in un processo che è comunque da difendere con continuità, con la frantumazione della Libia e con l’instaurarsi di una dittatura in Egitto. Qui crisi culturale, conflitti militari e sottosviluppo si intrecciano in un quadro di enorme difficoltà.
In attesa di considerare i successivi articoli faccio le seguenti ( e telegrafiche) osservazioni/obiezioni:
1.
Non credo ad uno sviluppo della tecnica «per una sua intrinseca natura»: essa è dentro rapporti di potere economico-politici e dall’andamenti di questi condizionata-frenata-indirizzata; è sempre la politica (da non intendersi come i “politici” ma come complesso economico-politico-militare statalizzato e con al suo interno feroci competizioni) ad «attrarre intelligenze e finanze» ( o a disperderle…);
2.
«Per quanto riguarda le classi medie, proletarie e sottoproletarie potremmo assistere, in uno scenario pessimistico, da una parte a una loro radicalizzazione attuata con forme di luddismo e perfino di terrorismo e dall’altra a una loro emarginazione in ruoli sostanzialmente di servitù». E in uno scenario “ottimistico”? Come mai si pensa solo a «forme di luddismo e perfino di terrorismo» e non ad altre forme, ad esempio di “rivoluzione” non necessariamente luddista o terroristica?
3.
«Siamo ancora legati a una cultura che vede nel lavoro la realizzazione dell’individualità. Certo possiamo immaginare un mondo che permette l’espressione della creatività (dalle arti all’artigianato) ma nessuna società è ancora pronta a questo». Veramente le forme storiche di lavoro che abbiamo conosciuto (servile, artigianale, capitalistico) hanno permesso solo ad esigue minoranze una qualche «realizzazione dell’individualità». È venuta meno una salda *critica del lavoro* ed è ovvio che se la *degradazione del lavoro* (ricordo Braverman) è continuata e ha assunto le forme violente della precarizzazione e della flessibilità nessuna società mai sarà pronta ad « immaginare un mondo che permette l’espressione della creatività» (quello accennato da Marx), perché dovrà spendere la maggior parte delle sue energie per sopravvivere in condizioni sempre più peggiorate (vedi la figura emblematica dei migranti).
4.
Non capisco ( ma forse lo capirò con gli articoli successivi) se Marini teme o auspica uno sviluppo di Cina e Russia ( una volta si parlava del Brics:Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Da quel che dice mi pare che affidi le sue speranze di un mondo migliore agli Usa (di Obama per adesso) sorvolando qualsiasi accenno alle guerre permanenti ( da quella del Golfo a quelle in Libia o in Siria), le cui responsabilità vedrò (nei prossimi articoli spero) a chi saranno attribuite.
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