La strada per la presidenza della Commissione europea si fa in salita. Perché è vero che i popolari mantengono dalla loro una maggioranza relativa, ma le elezioni europee che si sono concluse domenica consegnano uno scenario disomogeneo e difficile da interpretare. Jean-Claude Juncker, ovvero il candidato del Ppe, rivendica per sé l’opportunità di trovare le convergenze che lo conducano a Bruxelles (anche se, secondo indiscrezioni giornalistiche, pare che Merkel e Cameron in particolare siano favorevoli all’individuazione di candidature alternative). La nomina ufficiale spetta al Consiglio (una prima riunione è in programma martedì 27 maggio) e verrà resa pubblica nelle prossime settimane. Dopodiché sarà il Parlamento a votare per il candidato indicato. E non sarà semplice rafforzare alleanze tra i gruppi (ammesso e non concesso che entro il 1 luglio non se ne formino di nuovi), anche per il peso che assumeranno le forze euroscettiche. Che, c’è da dire, non hanno sfondato come si temeva alla vigilia, ma in alcuni casi hanno ottenuto risultati ragguardevoli. In Francia e nel Regno Unito, in particolare.
Nel primo caso il Front Nationale di Marine Le Pen ha vinto le elezioni, ottenendo al Parlamento di Strasburgo 24 seggi. Nel secondo, l’Ukip di Nigel Farage, la cui ragione fondativa è l’uscita dall’Unione europea, si è attestato al 28%, sopra i laburisti (25%) e i tories del premier David Cameron (24%). In Italia una vittoria vera e propria dei partiti allergici all’Ue non è avvenuta, anche perché il Pd (con il 40% dei consensi) ha contenuto l’eventuale ondata grillina. Tenendo però conto del risultato ottenuto dal’altra forza anti-Europa, la Lega Nord al 6,15%, i populisti nel loro complesso hanno raggiunto il 27% per un totale di 25 seggi, cioè uno in più del Front Nationale e dell’Ukip. Percentuali consistenti sono state raggiunte in Austria (quattro seggi) e in Danimarca (quattro seggi anche qui) dove forze di estrema destra hanno fatto incetta di voti. Meno bene rispetto alle aspettative, invece, il Pvv di Geert Wilders in Olanda. Germania e Polonia, dove le forze euroscettiche non avevano mai avuto finora una presa decisiva, hanno stavolta assegnato entrambe otto scranni del Pe.
Lo scacchiere delle forze euroscettiche non deve però indurre a credere che sia un autentico fronte comune. Ad esempio Farage ha sempre respinto qualsiasi ipotesi di alleanza con il partito di Le Pen, percepito come una forza xenofoba che poco ha a che fare con l’Ukip. Angela Merkel ha stigmatizzato i successi dell’estrema destra e degli euroscettici, ma con il senno di poi potremmo azzardare che è andata meglio del previsto. A fine aprile il think tank britannico Open Europe aveva stimato almeno 218 seggi su 751 disponibili a loro favore. Alla fine saranno “appena” 140, a patto che la destra populista e le forze che protestano contro le politiche di Bruxelles si riuniscano sotto lo stesso tetto. Cosa che, abbiamo visto, non è affatto scontata.
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