Dentro quella borsetta vedeva quindici mesi del suo stipendio da «piccolo di camera», vedeva un pezzo del mutuo che le banche non gli hanno mai dato, vedeva il premio aziendale che non ha mai ricevuto. Eppure Andrea Tarantino, una vita passata nel ventre dei traghetti Tirrenia a rassettare cabine, quei 26mila euro nemmeno li ha voluti toccare. «Mi facevano paura… e se poi servivano per pagare le cure di una bambina malata?». Il “piccolo di camera”, questa la sua qualifica a bordo, davanti al tesoretto non ha vacillato. L’ha restituito subito, rivelandosi per quello che è. Un gigante.
È una storia minuscola, questa, e dunque enorme. È accaduta ieri sulla “Vincenzo Florio”, nave della ex compagnia di bandiera, al momento dell’approdo nel porto di Napoli. Per Tarantino, 49 anni, una mattina come tante. Sveglia alle 5.45, un caffè veloce, poi giù nel corridoio di ferro: «Cinquanta cabine da riordinare, appena i passeggeri escono», racconta a Repubblica.
Toglie le lenzuola sporche, cambia le federe, mette le lenzuola pulite, passa il battitappeto. Sette minuti per i vani da due letti, dieci per quelli da quattro. Una routine lunga 32 anni. «Ho cominciato come “piccolo di camera” nel 1982, e quello sono rimasto». Mai una promozione vera, anche se ultimamente ha anche il ruolo di garzone. Mai la possibilità di un’assunzione a tempo indeterminato. Quando serve, lo chiamano. E lui sta 50 giorni in mare, lontano dalla sua Palermo, dalla moglie Maria, casalinga, da Roberta e Federica, le sue figlie di 21 e 14 anni, entrambe da mantenere a scuola. In tasca gli entrano tra i 1600 e i 1800 euro netti al mese, poi, una volta a terra, viene liquidato. In tutti i sensi. A volte è rimasto a casa due mesi. Non si lamenta, però. Va avanti con uno stipendio che finisce sempre
troppo presto, una mattina dopo l’altra, un porto dopo l’altro.
Poi un giorno capita che una signora cinese di mezza età dimentichi una borsa sotto il cuscino nella sua cabina. Dentro c’è un portafoglio con 26mila euro in tagli da 50, da 20, da 10. Solo quelli, nessun documento. E capita anche che sia proprio Andrea Tarantino a trovarli, ieri, mentre da solo cambiava le federe. Ora, nove persone su dieci, un pensiero ce lo fanno. Forse anche più di uno. Lui no. «Il cuore mi è diventato piccolo piccolo — dice — ho pensato che potevano servire per fare un’operazione a un bambino». Non ha dubbi. Parla con in mano quel cuore che gli si è ristretto alla vista di tanti soldi. «Rispetto la società, se trovo qualcosa la riconsegno sempre al commissario interno ». Come qualche anno fa, quando riportò un braccialetto d’oro trovato sotto un letto.
Così è stato anche questa volta. La signora cinese è tornata in cabina alla svelta una decina di minuti dopo essere sbarcata, intorno alle 7, ha ringraziato Andrea, se n’è andata lasciandogli in mano 200 euro. Non proprio uno slancio di generosità. «Ma io non ci pensavo nemmeno alla ricompensa». Poi è stato convocato con l’interfono dai direttori dell’azienda per i complimenti ufficiali. «Per festeggiare porto i pasticcini palermitani ai miei colleghi. Magari faccio un regalo a mia moglie». Si sono anche sentiti al telefono, con Maria. «Mi ha detto che ho fatto la cosa regolare.
Nella mia famiglia il dna è questo, siamo onesti, paghiamo tutto quello che dobbiamo pagare. Di altri pani non ne mangiamo…», dice. Per quegli altri pani, il furto, la furbata all’italiana, la bassezza, non hanno i denti adatti. Viene quasi voglia di non credergli, di pensare che ha riconsegnato il borsello solo per paura di essere scoperto e licenziato. Poi però ti parla così del suo lavoro: «Io li amo i traghetti, mio nonno era fuochista sulle “Nere”, come si chiamavano allora, negli anni Trenta. Mio padre, Francesco, faceva il panettiere a bordo. Mia moglie dice che ho sposato le navi. Quando non vedrò più il nome “Tirrenia” sullo scafo, morirò un po’ anch’io».
Intanto aspetta. L’assunzione, magari. «Così le banche si decidono a darmi quel mutuo, mi serve per comprare casa. Sono ancora in affitto». Una promozione, forse. «Non ci penso, io faccio il mio dovere, quando trovo un portafogli e anche quando non lo trovo. Mi preoccupo solo di non perdere il mio lavoro». Il “piccolo di camera” non ha fretta. Vive come i traghetti che ama, lentamente, adagio. Un porto dopo l’altro. E domani ci sono altre 50 cabine da pulire.
Fabio Tonacci su Repubblica del 5 Febbraio 2014
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