Berlinguer, il libro con l’Unità «Gli incontri notturni con Moro»

berlinguer

Di Alberto Menichelli
l’Unità 11 giugno 2014

La situazione politica in Italia era sempre caotica, si doveva formare il Governo della “non sfiducia” (o anche detto “delle astensioni”. Si trattava di un Governo monocolore DC, guidato da Giulio Andreotti, che vedeva l’astensione o la non partecipazione al voto di Pci, Psi, socialdemocratici, repubblicani e liberali n.d.r.) e si tennero molti incontri segreti a casa di Tonino Tatò. Le giornate di lavoro erano sempre più lunghe.

In Direzione avevamo allestito uno spazio in cui si poteva cucinare perché non c’era il tempo di andare a casa, e in via dei Polacchi avevamo arredato una cameretta per far riposare Berlinguer. Il 17 febbraio del ‘77 ci fu la cacciata di Lama dall’Università dopo gravi incidenti, scontri furibondi e auto incendiate da parte del movimento universitario. Berlinguer chiuso nel suo ufficio non volle neanche mangiare. Noi eravamo giù nella saletta autisti a guardare la tv che registrava l’ennesima giornata di violenza. Erano circa le 20Anna mi chiamò e salii al secondo piano perché Berlinguer mi voleva parlare. Entrai nel suo ufficio e lui mi consegnò un biglietto con un indirizzo, chiedendomi di mandare via la scorta di polizia e, se possibile, anche la nostra seconda macchina. E mi disse: «tra quindici minuti scendo». Agii di corsa e lasciai la nostra prima macchina all’ingresso di Via di Botteghe Oscure.

Con la seconda Franceschini ed io uscimmo dal garage di Via Aracoeli, scese Berlinguer e andammo al posto indicato. Mi fermai di fronte a un portoncino, Franceschini scese con Berlinguer e suonarono al portoncino che si aprì immediatamente.
Erano le 20.30, parcheggiai e davanti a noi c’era un’Alfetta bianca con tre uomini a bordo; davanti all’Alfetta una Fiat 130 nera.

Dopo poco scese un signore dalla 130 e si avvicinò, ci salutò e rispondemmo al saluto. Si presentò, era il Maresciallo Leonardi (capo della scorta di Aldo Moro, poi ucciso con gli altri agenti di scorta in via Fani n.d.r.) con cui iniziammo una piacevole conversazione. Anche lui era preoccupato della situazione politica ed era affascinato dalla nostra macchina corazzata, la considerava efficiente. Ma la piacevole conversazione venne interrotta dall’accensione di una lucetta sopra il portoncino: era il segnale che uno dei due stava scendendo. Dopo pochissimo, infatti, arrivò Berlinguer. Erano già passate cinque ore.
A distanza di pochi giorni dovemmo ripetere quel percorso. Arrivammo alla stessa ora nello stesso posto e noi della scorta continuammo la conversazione con la scorta dell’onorevole Moro. Leonardi infatti scese subito, ci salutammo e ci chiese come mai non avessimo la stessa macchina dell’altra volta. Esclamò «beati voi» quando gli spiegammo che l’Alfa non era dal carrozziere né dal meccanico, ma che era nostra abitudine usare due auto diverse per non essere immediatamente riconoscibili. La riunione durò più a lungo dell’altra volta, era notte fonda e noi stavamo chiusi dentro le auto mezzi addormentati.

Alle 2.30 del mattino la luce sul portoncino si accese, qualcuno stava scendendo. Ci fu uno scatto generale, Franceschini schizzò fuori dalla macchina e aprì lo sportello posteriore. Dal portoncino uscì l’onorevole Moro che trovando lo sportello aperto entrò nella nostra auto. Subito corse Leonardi per avvisarlo «Presidente non è questa la nostra macchina» e lui, un po’ spaesato e chiedendo mille volte scusa, scese. Dopo poco arrivò Berlinguer a cui raccontammo la scena che lo divertì molto (…)

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