Tutte le mafie del Lazio
di ATTILIO BOLZONI e NORMA FERRARA
Ce ne sono tante, tutte uguali e tutte diverse. Ogni provincia ha le sue. Vecchie e nuove, rumorose o silenziose, autoctone e “trapiantate”. Dalla Calabria, dalla Campania, in tempi meno recenti anche dalla Sicilia. A volte si ignorano e a volte si mischiano, sembrano lontane una dall’altra, sparse, indipendenti. Ma non è affatto così. Per usare un’immagine di Andrea Palladino – giornalista che chiuderà con una sapiente sintesi questa serie del nostro blog – le mafie della Lazio Connection non sono «isole infelici» o «zone stagne» ma «seguono corridoi» che arrivano nella capitale. Tutte mafie che portano a Roma.
Raccontiamo di singoli boss e di “famiglie”, clan con tre e quattro quarti di nobiltà ‘ndranghetistica come i Tripodo o camorristica come i Bardellino. E anche di pericolose bande di rom come i Di Silvio, imparentati con i più famosi Casamonica, quelli dei funerali in stile “Padrino” con cavalli e Rolls-Royce fuori da una chiesa al Tuscolano.
Parliamo di latitanze “tranquille” nell’estremo sud della regione, di grandi affari legati ai rifiuti e al cemento a Latina, del racket del mercato ortofrutticolo di Fondi, del riciclaggio di Aprilia e di caporalato e schiavitù nell’Agro Pontino. Infinite e invisibili le “vie della droga”, traffici che passano per il porto di Civitavecchia e l’aeroporto di Fiumicino.
Poi ci sono le zone di confino e di confine, irrequiete come la provincia di Frosinone e apparentemente tranquille come quella di Viterbo e ancora di più quella di Rieti. «Nessun territorio è esente da possibili infiltrazioni di gruppi mafiosi», scrive il colonnello Francesco Gosciu, il capo centro operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Roma che apre con un suo articolo la raccolta sulle mafie in questa zona d’Italia.
I dati dell’Osservatorio “per la Sicurezza e la Legalità” della Regione Lazio rivelano che, negli ultimi cinquant’anni, sono state 92 le organizzazioni criminali di tipo mafioso che hanno conquistato piccoli e grandi «spazi» in cinque province che contano tutte insieme cinque milioni di abitanti. Fino al 2005, di quelle organizzazioni ce n’erano venti in meno.
Da qualche parte spremono con le estorsioni e commerciano in stupefacenti, da qualche altra parte preferiscono “lavare” denaro, un grande laboratorio criminale dove tutto si confonde, dove si sperimentano alleanze e spartizioni. Così il Lazio è diventato un “modello” interessante per i tutto il mondo mafioso.
Sul blog pubblichiamo anche un’analisi del centro ricerca “Transcrime” dell’Università Cattolica di Milano sull’infiltrazione nell’economia legale di questa regione. Troverete una riflessione del sociologo Vittorio Martone e preziose corrispondenze di alcuni giornalisti che quotidianamente scrivono di cose di mafie, cronisti sul campo. Nella selezione dei contributi sulla Lazio Connection ci hanno aiutato alcune amiche e amici, Graziella Di Mambro per Latina, Angela Nicoletti e Daniele Camilli per Frosinone e Viterbo.
Una sequenza di interventi che fa affiorare una realtà molto pericolosa intorno a Roma e che spinge verso Roma. Dove, come è noto, la mafia c’è e non c’è.
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