Nelle sue considerazioni finali sul 2016 il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha opportunamente messo alcuni paletti alla discussione di un mondo politico impegnato a riformare la legge elettorale e a stabilire la data delle prossime elezioni.
Il governatore ha prima di tutto ricordato che “l’avvio di una diminuzione continua e tangibile dell’incidenza del debito sul Pil non deve essere ritardato. Non vanno ripetuti gli errori del passato: l’insufficiente riduzione del rapporto tra debito e prodotto realizzata nelle fasi economiche favorevoli ci ha costretto a correzioni pro-cicliche durante la crisi”. In altri termini, se ora l’economia va meglio che negli anni della crisi 2008-2013, bisogna approfittarne per fare le correzioni di bilancio che servono per far scendere il rapporto tra debito pubblico e Pil, salito al 133 per cento nel 2016. Con inflazione all’1 per cento e una crescita del Pil anch’essa all’1 per cento, l’algebra suggerisce che il rapporto debito-Pil può scendere solo se il deficit scende sotto al 2,6 per cento del Pil. Con l’1,2 per cento scritto dal governo nel Documento di economia e finanza in aprile, il debito pubblico potrebbe dunque diminuire l’anno prossimo di circa un punto e mezzo.
Facile a dirsi, difficile a farsi. L’1,2 per cento del Pil scritto nel Def 2017 incorpora l’attivazione di clausole di salvaguardia fatte di aumenti automatici di imposte indirette per circa 15,8 miliardi di euro (erano 19,2 ma poi c’è stata la manovrina primaverile da 3,4 miliardi di euro). Sono aumenti che nessuno vuole, a cominciare dal rieletto segretario del Pd Matteo Renzi per proseguire con tutto lo schieramento politico. Ma non fare scattare le tagliole richiede di trovare altre risorse: aumenti alternativi di tasse o tagli di spesa, ugualmente invisi al modo politico che già guarda alla prossima campagna elettorale.
Composizione della spesa e delle entrate e crescita economica
Il governatore ha però fatto un passo in più. Nel fissare (o meglio ricordare) i paletti esistenti, ha anche aggiunto qualcosa sulla qualità delle misure di bilancio che potrebbero essere incluse nella manovra di autunno, pre o post elezioni. Ancora con le parole di Visco, “nell’attuale fase di ripresa, pur moderata, è possibile intraprendere un processo di consolidamento duraturo attraverso politiche di bilancio prudenti, mirate non solo a ridurre il disavanzo, ma anche a rivedere la composizione delle spese e delle entrate. Si può contribuire a rafforzare la crescita economica e facilitare il calo del rapporto tra debito e prodotto dando maggiore spazio agli investimenti pubblici, riconsiderando la struttura dei trasferimenti e delle agevolazioni ed esenzioni fiscali, ribilanciando l’onere che grava sulle diverse basi imponibili, proseguendo con forza nell’azione di contrasto all’evasione”. Insomma, dice Visco, il “come” si fanno i tagli e gli aumenti di imposte conta. Sul fronte della spesa, se si tagliano le agevolazioni e le esenzioni fiscali (il governatore non lo dice, ma intende “nell’ambito di una riforma dell’Irpef”), si può ridurre la spesa complessiva, ma anche dare maggiore spazio agli investimenti pubblici. Quegli investimenti pubblici che con l’Europa ci eravamo impegnati a preservare in cambio della flessibilità nell’interpretazione dei nostri conti pubblici e che invece – lo dicono i dati della tavola 11.1, a pagina 128 della Relazione – nel 2016 sono scesi per il quinto anno consecutivo (da 36,7 del 2015 a 35 miliardi di euro nel 2016).
Dal lato delle entrate, le parole del governatore sulla necessità di riequilibrare l’onere che pesa sulle varie basi imponibili ricordano quelle usate dall’Ocse in un recente rapporto, in cui si sottolineava l’urgenza di spostare la tassazione dal lavoro alla casa e ai consumi.
Nel complesso, si potrebbe osservare che non c’è una solida evidenza di correlazione tra qualità della spesa e delle entrate e più rapida crescita economica. L’economia dice che, se si tagliano le tasse in modo duraturo, l’economia del paese accelera. Ma spostare l’onere della tassazione da una categoria all’altra di cittadini o imprese a parità di peso complessivo della tassazione ha un effetto probabilmente marginale sulla crescita. La cosa vale a maggior ragione per la spesa pubblica, su cui il disaccordo è ancora più marcato.
Al di là di questo, le parole arrivate da via Nazionale contengono un utile messaggio per la politica. E cioè che, indipendentemente dalla data delle elezioni, l’importante è che il quadro di finanza pubblica descritto dal governatore sia incorporato nei programmi elettorali dei partiti. Se così sarà, l’eventuale compromesso tra diversi a cui quasi inevitabilmente il (possibile) sistema proporzionale porterà, non sarà il risultato di una campagna in cui vince chi grida promesse elettorali più assurde, ma il frutto della mediazione tra posizioni discusse e valutate preventivamente dai cittadini.
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