La mamma di Giulio Regeni
“Giulio Regeni è stato arrestato dalla polizia prima di scomparire”. Lo hanno riferito fonti interne della polizia e dei servizi segreti egiziani alla Reuters. Un’ammissione forte, sottoscritta da tre agenti di polizia e tre operatori dei servizi segreti, che va a demolire le versioni finora fornite dall’apparato di sicurezza del Cairo. Il ricercatore italiano dunque è stato portato via dai militari.
Ancora una volta viene confermata l’ipotesi più accreditata ma che non è mai stata presa in considerazione dagli investigatori egiziani. Infatti, le smentite non sono tardate ad arrivare. A negare la notizia diffusa dalla Reuters ci ha pensato Mohamed Ibrahim, il responsabile della comunicazione della sicurezza interna. “Non c’è mai stato alcun legame tra Regeni e la polizia o i servizi segreti. Non è mai stato tenuto in nessun commissariato. L’unico momento in cui è entrato in contatto con la polizia è stato quando gli ufficiali hanno timbrato il suo passaporto per l’ingresso in Egitto”, ha dichiarato. Aggiungendo che “se avessimo avuto di sospetti sulla sua attività la soluzione più semplice sarebbe stata la sua espulsione”. Poi un’ulteriore smentita è arrivata direttamente dal ministero degli Interni: “Non c’è nessuna necessità di torturare uno studente straniero in Egitto. Il ruolo della polizia è quello di proteggere, non di torturare”. Eppure i dati fornite dalle organizzazioni per i diritti umani dicono tutt’altro.
Le versioni fornite dai sei militari sembrano essere concordanti. Tutti hanno dichiarato che Giulio è stato fermato da alcuni agenti in borghese la sera del 25 gennaio all’interno della stazione della metropolitana di Gamal Abdel Nasser. In occasione dell’anniversario della rivoluzione contro Mubarak la presenza della sicurezza era stata incrementata esponenzialmente. Quello stesso giorno sono stati arrestati altri egiziani di cui finora non si sa ancora molto. Due di loro dovrebbero essere stati portati al commissariato di Izbakiya a bordo di un minivan della polizia. Di Regeni invece non si hanno altri dettagli.
Nonostante dunque la pressione sul governo la verità sull’uccisione del ricercatore di Fiumicello sembra essere ancora lontana. Finora l’Egitto non ha mostrato alcuna intenzione di collaborare fattivamente con gli investigatori italiani. Non sono serviti a molto il richiamo dell’ambasciatore e le varie minacce di interrompere le relazioni. Nel frattempo il regime di Al Sisi continua a violare i diritti umani. Sono in corso oggi alcune proteste davanti alla prigione Al Aqrab dopo che si è diffusa la notizia dell’intossicazione di sessanta detenuti. Le visite dei familiari sono interdette fino alla prossima settimana. Tre giorni fa, invece, un poliziotto ha ucciso un venditore e ferito altre due persone dopo un litigio sul prezzo di un bicchiere di tè. Un altro episodio che ha scatenato le proteste degli egiziani.
Brahim Maarad da L’Espresso. 21 Aprile 2016
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