Recessione: il termine tecnico è questo. Il dato Istat di stamane apre i siti dell’informazione, non solo di quella economica. Il secondo trimestre del 2014 è il peggiore degli ultimi 14 anni, e il più basso dal secondo trimestre dell’anno 2000.
Parliamo di un meno 0,2 per cento congiunturale e un meno 0,3 su base annua. Il tutto in un quadro dove i consumi non si rianimano e soprattutto con un quadro macro-economico insostenibile. Un paio di settimane fa l’analisi più puntuale l’ha fatta Luigi Zingales sul Sole 24 Ore, ma qualche giorno dopo il tema è stato ripreso da Roberto Poli sul Corriere, in un bell’articolo di Fabio Tamburini.
Non è un dettaglio tecnico, è la sostanza del problema italiano. Provo a riassumerlo così. Con lo spread a 518 punti base (alla fine dell’ultimo governo della destra) il tasso d’interesse sui nostri titoli decennali era al 6,50. Con un’inflazione al 3,1 voleva dire un interesse reale del 3,4%. Oggi lo spread è a 150-160 punti base (con un vantaggio di alcuni miliardi nella spesa per interessi), e con un tasso di interesse sui titoli decennali che è sceso al 2,7%. Il punto è che il tasso medio (considerando l’intero volume dei nostri titoli emessi) è ancora al 3,9 per cento. Ora, se togli lo 0,3 dell’inflazione hai un tasso di interesse reale del 3,6% (cioè superiore a quello che pagavamo con lo spread fuori controllo e la lettera della BCE).
Cosa vuol dire? Che solamente per non aumentare la forbice tra debito e Pil noi dovremmo avere un avanzo primario del 4,5% mentre sarà del 2,6% (e siamo il Paese che ha fatto negli anni della crisi il migliore avanzo primario e il minore aumento di debito pubblico). Semplicemente con i parametri attuali (e una crescita ferma), il problema è che il nostro debito pubblico (quei 2000 e passa miliardi) è insostenibile. E questo senza contare che noi dal 1995 abbiamo pagato 1.650 miliardi di euro di interessi sul debito (una cifra letteralmente spaventosa).
E’ chiaro che questa partita la giochi in Europa (non sto qui a ripetere cose note), e Renzi ha fatto non bene, ma benissimo a porre con chiarezza il tema di una svolta nella politica che Bruxelles ha praticato sino a qui. Il punto, anche alla luce dei dati dell’Istat di oggi, è che quella svolta serve “adesso” perché ne va della tenuta di un paese come il nostro.
Le riforme del governo servono (discuteremo il merito del jobs act, tra domani e venerdì licenzieremo il decreto sulla PA, mi auguro con il recupero in parallelo di “quota 96” su cui se volete vi aggiorno a parte, e poi i tempi sulla giustizia civile e amministrativa, la trasparenza negli appalti e la lotta alla corruzione…..). Ma il punto è che di fronte a uno scenario come l’attuale tu devi aggredire due questioni di fondo.
La prima ha un nome e uno soltanto: investimenti. Se questo Paese non torna a investire (bravo Renzi a comprare ieri da Feltrinelli il libro della Mazzucato!) e ad attrarre investimenti non se ne esce. Puoi studiare tutti i palliativi, puoi introdurre tutta la flessibilità che ti pare, puoi riformare gli ammortizzatori, ma se non si creano occasioni di lavoro, opportunità per un respiro alle imprese di settori piegati, saranno aspirine laddove servirebbero antibiotici.
La seconda questione è quel debito cumulato. Ne parlano anche economisti che di certo non sono assimilabili all’eversione di sinistra. Come si affronta il nocciolo duro di un debito alto come una montagna e di un fiscal compact insostenibile nel quadro macro-economico attuale? Non è vero che non esistano vie d’uscita. Non è letteralmente vero. Ma su questo tornerò a breve.
Infine, immagino la serie di dichiarazioni tutte tese a scaricare sul governo quel che sta accadendo. Ovviamente non ha senso. Sarebbe bello e anche maturo se di fronte a problemi di questa natura lasciassimo meno spazio alla propaganda e ci si concentrasse sul merito. Solo questo.
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