Di Marco Bucciantini
l’Unità
14 febbraio 2014
Era il giorno di San Valentino e in fondo Marco Pantani morì per un amore perduto: quello per se stesso. Lo aveva consumato perché i ciclisti non sudano, non invecchiano: si consumano. Da quell’alba a Madonna di Campiglio, Pantani era una candela che bruciava da due parti, svelta come una discesa. Poi c’era l’attrazione per la solitudine, il bisogno della solitudine (poteva vincere solo così, da solo). E poi arrivò la droga, l’assalto al proprio corpo, e più nessuno a cui rivolgersi, il male solo per sé.
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Di Andrea Astolfi
14 febbraio 2014
l’Unità
Quel giorno a Madonna di Campiglio Alessandra De Stefano, volto e voce di Raisport, porgeva a Marco questa domanda: «E adesso?». «Quel giorno ho percepito la scissione di due entità, Marco Pantani e il Pirata. L’uno moriva, l’altro sopravviveva. Sulle scale di quell’hotel, dentro una babele di voci, in una ressa colossale, ho percepito Marco, il ragazzo spaventato, il campione che era stato, che era, svanito in un attimo solo».
Sei carabinieri, come fosse un boss mafioso, moriva lui e moriva il ciclismo. E lui che disse: «C’è qualcosa di strano».
«Strano era tutto, quel trattamento, strane le urla, i carabinieri, le maglie strappate, una ressa indegna. Lo cercai con lo sguardo, lui rispose, gli dissi “non te ne andare così, una parola per i tuoi tifosi, almeno”, e lui non seppe dire nulla, solo che non si sarebbe più rialzato. E quando si rialzò, perché ci riuscì, non fu più lui».
Nemmeno sul Ventoux, nemmeno a Courchevel?
«Marco era l’eroe, il ragazzo generoso che cerca lo spettacolo, che vince per la sua gente. Dopo fu immenso sul Ventoux e Courchevel, ma braccato da fantasmi che non l’avrebbero più mollato. E c’era Armstrong».
Due uomini contrapposti che smisero di rispettarsi proprio sul Ventoux.
«Marco era solitario, timido, disponibile, riservatissimo. Dava stima, e tanta, a pochissimi, e pochissimi potevano entrare nel suo regno, nel suo cuore. Armstrong sceglieva i suoi interlocutori, era un cinico, un calcolatore, un uomo freddissimo. Armstrong ha portato via le scritte, gli striscioni dal Tour, nella sua epoca è scomparso il tifo dalla strade. Marco aveva un seguito incredibile, ed è incredibile che a distanza di tantissimi anni sulle strade del Giro e del Tour ci siano ancora tifosi con la bandana, scritte sull’asfalto, come se lui vivesse ancora, come se corresse ancora e dal gruppo non se ne fosse mai andato».
Due istantanee: una del Pirata, Oropa, l’altra di Marco, alle Cascate del Toce.
«Due mondi e due modi di essere la stessa persona. L’esuberanza, l’esagerazione che forse lo perse, e quello scatto telefonato, in pianura, il giorno dopo la quasi tragedia del Sampeyre, quando cadde con Garzelli e fu sull’orlo del ritiro. Quattro anni tra le due immagini e due uomini diversi e contrapposti sulla stessa bicicletta. A me resterà dentro quella frase che Adriano De Zan pronunciò in apertura di collegamento dal Giro, quel 5 giugno: una delle giornate più tristi nella storia del ciclismo. La disse piangendo, e la telecronaca andò avanti per minuti così, sottovoce, con immagini che scorrevano freddamente sullo schermo, alle quali non badava nessuno. Marco ha dato più al ciclismo di quanto il ciclismo gli abbia dato».
Disse: «Mi hanno tradito». Chi?
«Ha avuto tanti nemici in gruppo, a partire proprio dal ’99, quando il Coni chiese ai corridori di firmare il programma antidoping Io non rischio la salute: il gruppo si spaccò, la Mapei da una parte, Marco e la maggioranza degli altri contro. Lui e Tafi si scontrarono nella tappa di Lanciano. Poi è accaduto quello che sappiamo, un controllo dell’Uci senza delegati Uci, Marco che non potè scegliersi nemmeno la provetta, le cose strane di cui si è scritto e parlato tanto, e tanto se ne parlerà ancora, forse per sempre, senza venirne a capo. Lui è morto con quella torrida tristezza dentro, male e solo, e questa resterà purtroppo l’unica orribile certezza di questa splendida e terribile vicenda umana».
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