Renzi: sulle riforme stop ai veti

Roma, incontro Renzi e Berlusconi nella sede del PD

«Spero che davvero sia la volta buona». Renzi sale sul treno delle 19,50 per Firenze da solo, senza staff e scorte e con la stessa borsa di pelle nera con cui era sceso verso le tre del pomeriggio a Roma. Ma adesso quella borsa è un po’ più pesante. Dentro c’è l’intesa raggiunta con Berlusconi nella sede del Pd al Nazareno. E si tratta del pacchetto completo: riforma elettorale più riforme costituzionali su Senato e Regioni.

Il sistema di voto è il cosiddetto spagnolo alla D’Alimonte (il politologo consigliere del segretario-sindaco), cioè un proporzionale con premio di maggioranza a chi raggiunge il 35%, soglia di sbarramento al 5%, piccole circoscrizioni (liste bloccate con 3-4 nomi, vecchia idea dell’allora ministro alle riforme del governo Prodi, Vannino Chiti) e calcolo dei seggi sul livello nazionale. Sulle Regioni si prevede la riforma del Titolo V (fatto dal centrosinistra e quindi vittoria che si potrà intestare Berlusconi) con il ritorno di materie come l’energia alla sola competenza statale, la cancellazione dei contributi ai gruppi regionali e il taglio netto delle indennità (fino a portarle a livello dello stipendio di un sindaco) ai consiglieri.

Il Senato invece diventerà una Camera delle autonomie senza senatori eletti e senza indennità (punto irrinunciabile per Renzi) mettendo fine al bicameralismo perfetto. Su tutto questo, spiega Renzi, c’è «profonda sintonia» tra quello che il popolo del Pd «ha deciso alle primarie» e Forza Italia. E di questo oggi il segretario del Pd andrà a parlare con Pier Luigi Bersani, nell’ospedale di Parma in cui è ricoverato.

Renzi sa che il punto più delicato è la legge elettorale, ma è anche consapevole che il sì di Berlusconi vuol dire avere i numeri veri in Parlamento per cambiare la Costituzione. «Per riuscire a fare quello che nessuno in questi 20 anni ha mai fatto». Fare le regole con Berlusconi e Forza Italia affinché il Pd non torni mai più a fare governi di larghe intese col centrodestra. Affinché gli italiani non vedano riformarsi «inciuci» il giorno dopo il loro voto.

La possibilità di diventare il padre di questa trasformazione a Renzi fa digerire il fatto che se ci riuscirà questo vorrà dire rinviare la corsa a Palazzo Chigi per un po’. Perché se davvero l’operazione andrà in porto almeno per un anno («ma forse anche due», dice ai suoi Renzi) non si parlerà più di elezioni politiche anticipate, ma di riforme. «Con Forza Italia – spiega – abbiamo trovato profonda sintonia su tre temi molto delicati, ma capaci di segnare la svolta per l’ordinamento del nostro Paese». Per questo serviva anche un evento dal valore simbolico: il Cavaliere che sale le scale della sede del Pd. Un faccia a faccia nella casa della sinistra italiana, accompagnato da vari mal di pancia dentro il partito, ma forse decisivo per il futuro del Paese. E quindi del Pd. Almeno questo è quello che pensa il segretario, che mostra anche coi suoi collaboratori una cautela che non gli è proprio congeniale.

Forse è solo scaramanzia, ma il passaggio è davvero delicato e quindi ogni mossa o anche parola sbagliata potrebbe fare danni. Sono consigli che ad esempio vengono fatti arrivare anche a Palazzo Chigi, a un Enrico Letta che messo al corrente dell’esito della trattativa dallo zio Gianni è pronto a dirne bene. Per Renzi, che sta giocando tutta questa partita in prima persona e che ha nel Quirinale l’unico vero canale di comunicazione (il resoconto a Napolitano avviene praticamente appena termina l’incontro col Cavaliere), è meglio evitare iperboli, tenere la bocca cucita coi giornalisti e lavorare col telefonino. Cioè continuare a tessere quella tela che lunedì presenterà alla direzione del Pd.

«Ora lasciatemi lavorare», spiega. Perché, a essere precisi il pacchetto su cui ieri Berlusconi e Gianni Letta hanno dato il proprio via libera è sostanzialmente fatto. Va solo un po’ limato per farlo firmare anche da Alfano e dagli altri alleati di governo. Non a caso nella velocissima conferenza stampa Renzi ripete tre volte il concetto che la proposta è «aperta». Che non si tratta di un prendere o lasciare. Segnali incoraggianti per i partiti più piccoli che già avevano colto nella mattinata in due diversi incontri con lui a Firenze prima la segretaria di Scelta Civica Stefania Giannini e poi il leader del Psi Riccardo Nencini.

Fino alle quattro del pomeriggio quelle erano aperture di Renzi. Dopo due ore mezza di discussione sotto la foto del Che e Castro che giocano a golf, il segretario Pd incassa la disponibilità di Berlusconi che gli spiega di non avere nessuna intenzione di fare una legge elettorale per cancellare Alfano e il Nuovo centrodestra. Quello che però per Renzi e per Berlusconi è irrinunciabile è che ai “partitini” venga tolto ogni potere di veto. Che sia sì garantito il loro ingresso in Parlamento, ma che non possano mai essere determinanti per la nascita o la morte di un governo.

Renzi da ieri s’è convinto che Berlusconi non ostacolerà l’approdo a un punto di ricaduta in cui ci possa stare anche Alfano. La sintonia con Berlusconi infatti è «profonda» anche «per un modello di legge elettorale che favorisca la governabilità e il bipolarismo. Ed elimini il potere di ricatto dei partiti più piccoli», spiega Renzi, aggiungendo che con Forza Italia c’è anche condivisione sulla «apertura anche alle altre forze politiche per scrivere il testo di legge» . Da stasera a lunedì pomeriggio, quando arriverà in direzione, Renzi limerà ulteriormente la propria proposta sulla legge elettorale. I punti su cui i partiti minori hanno più problemi sono infatti la soglia di sbarramento che dal 5% vorrebbero far calare al 2-3% (ma Renzi ha già detto no) e sul premio di maggioranza da non rendere eccessivo. Ma per Renzi e Berlusconi deve comunque garantire la maggioranza in Parlamento. Poi ci sarà chi rivendicherà anche le preferenze, ma senza fare particolari barricate. Del resto il calcolo dei seggi a livello nazionale li aiuta a non scomparire e quindi meglio non esagerare nelle richieste.

Renzi insomma vede a portata di mano l’obiettivo. Sempre che Berlusconi non torni a giocare come in passato brutti scherzi.
Vladimiro Frulletti
l’Unità 19 01 2014

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