16 Marzo 1978 Aldo Moro rapito dalle Brigate Rosse – attacco alla Repubblica

A Roma si indaga ancora sul gruppo che uccise il leader Dc. A Genova si stringe il cerchio sull’autista del commando che sparò all’operaio Guido RossaFAUSTO MARAZZO01 MARZO 2021

Roma – Un capitolo buio, che il Paese non ha ancora chiuso. E che riserva periodicamente colpi di scena. Dagli anni di piombo in poi, la storia delle Brigate Rosse sembra accompagnare in silenzio quella dell’Italia.
E’ dei giorni scorsi la notizia, resa nota dal Riformista, che 43 anni dopo il tragico rapimento di Aldo Moro al brigatista Mario Moretti è stato prelevato il Dna per confrontarlo con i mozziconi di sigarette trovati nella Fiat 128 Giardinetta con targa diplomatica, una delle auto utilizzate il 16 marzo del 1978 per sequestrare il leader democristiano.
“Il gip romano Francesco Patrone ha autorizzato il prelievo di reperti biologici per tutti i condannati in relazione al caso Moro e anche per militanti del gruppo estranei ai fatti come Giovanni Senzani, Paolo Bascheri e Corrado Alunni”, racconta il giornalista Frank Cimini.“E’ necessario procedere alla comparazione dei profili del Dna in tal modo acquisiti con quelli delle persone coinvolte nella strage di via Fani allo scopo di consentire l’individuazione di profili appartenenti a persone diverse da quelle di cui ad oggi è nota la partecipazione criminale”, scrive il gip nel provvedimento.
Dell’elenco dei nomi fanno parte Franco Bonisoli, Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Valerio Morucci, Bruno Seghetti, Anna Laura Braghetti, Enrico Triaca, Rita Algranati, Corrado Alunni, Rocco Micaletto e Paolo Baschieri.
Per Lauro Azzolini si tratta di uno “strumento pretestuoso e fuorviante che vuole gettare ombre su una realtà che è già stata ampiamente chiarita in ripetute circostanze dentro e fuori i processi e che appartengono alla storia politica e sociale di questo paese. C’è che ne ha fatto un lucroso mestiere costruendoci sopra carriere politiche e giornalistiche”.

I misteri delle Br
La storia della Brigate Rosse è ancora oggi intrisa di mistero. Come quello di Lorenzo Carpi, l’unico componente ancora latitante del commando che uccise l’operaio genovese Guido Rossa: una ritorsione per avere denunciato il “postino” brigatista della fabbrica genovese, Francesco Berardi.

Carpi, all’epoca venticinquenne, scomparve fra molti misteri dall’Italia ed è sempre stato irreperibile. Ma la presenza della sorella tra Spagna e Portogallo, assieme ad altri indizi, hanno indotto i pm genovesi a riaprire il caso.

Lorenzo Carpi in una rara immagine di oltre 40 anni fa

Come hanno ricordato i giornalisti Matteo Indice e Marco Grasso sul Secolo XIX, è stato il procuratore capo Francesco Cozzi, che di Carpi fu compagno di scuola, di concerto con i sostituti Marco Zocco e Federico Manotti, ad aprire formalmente una nuova inchiesta per “associazione con finalità di terrorismo”, nell’ipotesi che una rete copra la latitanza. Un atto grazie al quale possono scattare accertamenti più invasivi, sotto forma di rogatorie oppure “ordini internazionali d’indagine”, introdotti negli ultimi anni a livello europeo.

La storia
Carpi era l’autista del gruppo di fuoco che attese Rossa sotto la sua abitazione e lo straziò con un colpo ravvicinato. Gli altri due partecipanti al raid erano Riccardo Dura, capo della colonna genovese contiguo a Mario Moretti, l’uomo che con ogni probabilità decise di uccidere nonostante sulle prime le Br avessero pensato soltanto di ferire l’operaio (Dura morì nel 1980 durante il blitz dei carabinieri nel covo di via Fracchia); e Vincenzo Guagliardo, autore del primo sparo, non letale. Guagliardo ha scontato il carcere e ha ottenuto il perdono di Sabina Rossa, la figlia di Guido che è stata parlamentare per Ds e Pd dal 2006 al 2013, dopo averla incontrata.

La commozione di Sandro Pertini di fronte al corpo senza vita di Guido Rossa

Condannato all’ergastolo per il delitto del 1979 e per altri omicidi politici, oltre che per aver gambizzato Roberto Della Rocca, poi divenuto presidente dell’Associazione italiana vittime del terrorismo, Carpi riuscì invece a dileguarsi dall’Italia in maniera molto nebulosa. A nulla servirono ai tempi gli interrogatori della fidanzata e dei familiari, mentre un testimone dichiarò d’averlo brevemente incrociato a Genova nel 1985. Ora la partita sembra riaperta. E ultimamente, secondo fonti qualificate, qualcosa si sta muovendo. Qualcosa di concreto, finalmente. Anche se a distanza di più di 40 anni. Il Secolo XIX – Fausto Marrazzo 1 marzo 2021

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