Se diamo un’occhiata a riviste e quotidiani stranieri, avremo meglio l’idea di quale considerazione goda il nostro governo nel mondo: “Servo di due padroni” (The Economist), “Uno sconosciuto a Palazzo Chigi” (El Pais), “Italia: la designazione di Giuseppe Conte apre la strada a un governo populista” (Le Monde), “Missione impossibile” (Handelsblatt), “Italia: Conte sotto sorveglianza” (Le Figaro).
Nei quotidiani di casa nostra in edicola oggi, invece, il tema è quello della composizione del governo, col caso Savona, e delle consultazioni di ieri del premier incaricato con i partiti. Il Corriere della Sera sceglie “Ministri, sale la tensione su Savona. Il Colle respinge i diktat: «Le nomine spettano al Quirinale e al premier». Conte pronto a presentare la lista”, La Repubblica scrive: “Il Colle a 5S e Lega: no ai diktat. Battaglia su Tesoro e Giustizia”, mentre Il Messaggero apre con “Altolà del Colle, scontro sul Tesoro. M5S-Lega blindano Savona all’Economia. La bocciatura di Mattarella: diktat inammissibili. Conte: «Ministri tutti politici, risarcire i risparmiatori truffati». Scogli su Esteri e Infrastrutture”.
La prima pagina della Stampa titola: “Mattarella: basta diktat sul governo. Salvini insiste per Savona alla guida del Tesoro, il Colle aspetta una mossa del presidente incaricato. Il primo annuncio di Conte da “avvocato del popolo”: risarciremo le vittime delle banche”, quella del Sole 24 Ore: “Scontro sui ministri. Il Colle: niente diktat. Mattarella ricorda a Salvini che l’indicazione spetta al premier e la firma a lui. Resta il nodo Savona. Conte ha incontrato i partiti. Oggi vede Visco, poi al Quirinale con lista e programma”.
Lega e 5 Stelle vogliono cambiare la Costituzione a colpi di diktat
Ugo Magri sulla Stampa così descrive lo scontro in atto: “Da una parte c’è Salvini che, sentendosi «unto» dal voto popolare, ritiene di poter piazzare su quella poltrona chi vuole lui, e individua «il meglio che c’è» in questo anziano studioso noto per le sue posizioni antieuro, Savona, appunto. Ai suoi occhi, chiunque si metta di traverso compie un attentato alla sovranità popolare. Dall’altra parte c’è il Presidente della Repubblica che, se avallasse soluzioni da lui giudicate pericolose per l’Italia, tradirebbe il suo mandato”.
Chi parla di prova di forza è il quirinalista del Corriere della Sera Marzio Breda che, a pagina 3, nell’articolo intitolato “Mattarella attende il premier. Il primo test sulla sua autonomia”, scrive: “Stanno mettendo la nascita del governo sul piano di una prova di forza. Pur di vincerla pretenderebbero di limitare l’autonomia degli altri poteri dello Stato e di rovesciare l’equilibrio di pesi e contrappesi fissato dalla Carta costituzionale, con scelte che vogliono far passare a colpi di ultimatum. È profonda l’irritazione di Sergio Mattarella per le asfissianti pressioni di Lega e 5 Stelle sulla composizione del nuovo esecutivo. Talmente profonda che ieri, mentre i due partner della maggioranza rilanciavano la vulgata di «veti dall’alto» su alcuni ministri, il Quirinale ha fatto una delle sue rare precisazioni. Più acuminata delle altre, stavolta. «Il tema all’ordine del giorno non è quello di presunti veti ma, al contrario, quello dell’inammissibilità di diktat» nei confronti del premier incaricato, Giuseppe Conte, e, di riflesso, del capo dello Stato «nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce a tutti due».
Il caso Savona e l’uscita dall’euro
Una lettura di ciò che sta accadendo la fornisce Claudio Tito su Repubblica: insistere su Savona signifca soltanto prepararsi alla prossima tragedia: l’uscita dall’euro. “Che cosa accadrà – si legge a pagina 34 – se il tentativo di ridiscutere i trattati europei annunciato nel programma di governo denominato “contratto” – venisse respinto dai soci che compongono l’Unione? La piattaforma del patto gialloverde è formalmente evasiva su questo punto, ma sostanzialmente inequivocabile. Il responso coerente, rispetto a quello che Salvini e Di Maio hanno detto e fatto anche nell’ultima campagna elettorale, è infatti uno solo: l’Italia uscirebbe dall’euro e con ogni probabilità anche dall’Unione. (…) I braccio di ferro sulla nomina di Paolo Savona al ministero dell’Economia ha dunque questo significato. Il leader del Carroccio insiste sul suo nome solo ed esclusivamente per trasformare una eventualità in una definitiva certezza. Pensare che la scelta sia caduta sull’economista per la ricchezza del suo curriculum e per la sua gloriosa attività accademica, significa solo sottomettersi ad uno scherzo di cattivo gusto. Basta infatti leggere qualche capoverso del recente libro di Savona per cogliere la natura di questa indicazione. «Il Paese – scrive – è in un vicolo cieco. Le autorità hanno il dovere di approntare e attuare due diversi piani, quello necessario per restare nell’Ue e nell’euro, e quello per uscire se gli accordi non cambiano e i danni crescono». È esattamente la risposta che questa maggioranza vuole dare alla domanda sulla nostra appartenenza al consesso europeo”.
Le promesse e la realtà
La prima promessa di Giuseppe Conte è già sul campo: rimborsare chi ha perso i propri soldi a causa delle banche. Francesca Schianchi sulla Stampa così ne dà conto: “«La tutela dei loro risparmi sarà uno dei principali impegni di questo governo. Chi ha subito truffe o raggiri sarà risarcito», parla già come un premier in carica. Avrebbe potuto farlo nei giorni prossimi, quando dopo giuramento e fiducia – sarà nel pieno dei suoi poteri: con i suoi sostenitori, Lega e M5S, decide di anticipare. Perché stamane incontrerà il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco: incontrare e rassicurare prima i risparmiatori sembra quasi indicare una gerarchia di importanza tra popolo ed establishment”.
Sulla questione banche interviene anche Andrea Pira su Milano Finanza, dove a pagina 2, sotto il titolo “Conte spaventa subito le banche”, si legge: “L’attuazione del programma di governo giallo-verde potrebbe infatti rivelarsi per gli istituti un salasso da 12 miliardi di euro. La cifra è calcolata in una simulazione di Equita. In base alle studio svolto dall’analista Giovanni Razzoli il contratto per il governo del cambiamento potrebbe provocare un calo del 12%. Soltanto Unicredit dovrebbe reggere il colpo, in quanto ha già scontato le ripercussioni negative del possibile governo tra Lega ed M5S, che già diverse difficoltà ha creato anche a Mps peri propositi di mantenere la presenza dello Stato azionista”.
Dunque da una parte ci sono le promesse di Conte, dall’altra i fatti del Paese reale: mercati al ribasso, spread al rialzo. Scrive Il Sole 24 Ore a pagina 6, a firma di Andrea Franceschi: “Piazza Affari ha chiuso gli scambi con un ribasso dello 0,71% mentre lo spread ha superato la soglia di 195 punti base per poi chiudere gli scambi a quota 192. Un’impennata, quella dello spread, frutto più degli acquisti sui Bund, il cui tasso a io anni è sceso dallo 0,5 allo 0,46%, che delle vendite sui BTp. Dopo sei sedute sotto pressione ieri gli investitori sono tornati a comprare gli scontatissimi titoli italiani. Questo riposizionamento tuttavia non ha favorito un significativo calo dei rendimenti”.
La vera casta
“Adesso loro diventano il potere, loro diventano l’establishment, loro diventano la casta. Non hanno più alibi, non hanno più scuse, non hanno più nessuno cui dare la colpa”: lo scrive sul suo sito Matteo Renzi”, come scrive Libero Quotidiano, mentre Martina, al termine delle consultazioni con Conte, ha ribadito, come riportato dal Sole 24 Ore a pagina 3, “il no del Pd. «Altro che cambiamento, qui torna la vecchia politica», ha sintetizzato il reggente Maurizio Martina”.
Il commento del giorno / Chi garantisce la Costituzione
L’analisi più rigorosa e negativa del comportamento di Lega e 5 Stelle arriva, sulle pagine della Stampa, proprio dal giurista che i grillini, appena qualche anno fa, avrebbero voluto come presidente della Repubblica: Gustavo Zagrebelsky. Il quale, puntualmente, partendo dalla Costituzione, fa le pulci a Di Maio e Salvini.
Ecco uno stralcio del suo editoriale: “L’esito elettorale non mette tutto il potere nelle mani della o delle forze politiche in grado di formare una maggioranza. La pretesa di trarre dal successo elettorale la legittimazione a tutto decidere non è né democratica, né conforme a Costituzione. I contorni del sistema democratico della nostra Costituzione sono definiti dall’art. 1, che stabilisce che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Forme e limiti. La lunga vita delle istituzioni repubblicane ha fatto sedimentare ormai rodati strumenti di cooperazione, di prevenzione di conflitti e di soluzione di divergenze. Si assiste ora a inedita tensione attorno al ruolo del Presidente della Repubblica (…) Si pretende da parte di esponenti della coalizione bipartita che esprimerà la maggioranza parlamentare, che il Presidente della Repubblica si limiti a certificare l’indicazione del Presidente del Consiglio fattagli dai rappresentanti dei due partiti e che, a sua volta, il Presidente del Consiglio proponga i ministri che i due partiti tra loro hanno concordato. (…) Da un lato abbiamo non solo il testo della Costituzione, che inequivocabilmente all’art. 92 stabilisce che «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri», ma anche le ragioni della ripartizione dei ruoli, della distinzione di responsabilità, del rifiuto di eccessiva concentrazione di potere e, in questo quadro, del ruolo del Presidente della Repubblica. Il Presidente rappresenta l’unità nazionale, non solo la maggioranza parlamentare e garantisce la Costituzione”.
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